Le dinamiche che si sviluppano nei soggetti affetti da disagio psichico sono le più complicate da gestire e da curare. La legge esprime una forma di garantismo nei confronti del malato, a volte eccessiva creando impedimenti cui seguono disagi ancora maggiori. Ma è la famiglia sotto accusa quando l’ambiente sociale subisce i danni dei comportamenti “bizzarri” dei soggetti in questione. Non si dovrebbe giudicare ma lo facciamo nella certezza di esprimere verità assolute. In realtà le vere ragioni sono lontane dalle nostre interpretazioni “viziate” spesso da simpatie o antipatie personali ed anche dalla poca dimestichezza a trattare con il diverso da noi.

La storia di Alessandro si sviluppa nella famiglia, la prima incolpata soprattutto dopo la sua morte avvenuta qualche giorno fa. Per molti Alessandro era diverso in quanto vestito di stracci luridi, causa di esclusione dal contesto della comunità che avrebbe preteso di risolvere il suo dramma regalando qualche profumo. È stato mio vicino di casa da quando sono venuta ad abitare a Fregene. La mamma e il papà facevano i parrucchieri nella centralissima via Veneto. Lei in gioventù aveva tentato la strada del cinema. Una bella ragazza venuta dalla Russia di cui portava i colori: bionda, occhi azzurri, carnagione d’alabastro. Tutte le mattine prendevano il Cotral prestissimo e facevano ritorno la sera tardi. Alessandro scontroso, schivo, molto diverso dal padre disponibile a fermarsi a fare quattro chiacchiere, li aspettava a casa. I genitori erano innamorati di Fregene: le passeggiate al mare, in pineta, il loro giardino pieno di fiori, il cagnolino, i gatti, la vita tranquilla rispetto al caos della capitale. Un’oasi di pace a tratti spezzata dai tremendi litigi con il figlio. Alessandro non riusciva a vedere la bellezza di Fregene, non aveva amici, non si fidava di nessuno. La sua incapacità di relazionarsi con il mondo esterno lo aveva rinchiuso in un bozzolo avvolto da infiniti fili: una protezione per lui, una corazza inaccessibile per gli altri. Lì dentro faceva e disfaceva la sua tela fino a pretendere di vivere da solo e costringere il resto della famiglia ad andarsene, in caso contrario sarebbero continuate le aggressioni verbali e non. Un crescendo di disperazione. Di chi la colpa di tanta sofferenza? Del male di vivere quello che ti sussurra all’orecchio “tutto è inutile, neppure il pianto per la tua misera sorte ti risveglierà da questa tua vita che è già niente”. Quando questo male colpisce si abbatte la tragedia tra le mura di casa e fuori dove non sempre la comunità è in grado di capire, di accettare, di tollerare, di aiutare…

Alessandro mi ha chiamata al telefono una domenica, diceva di sentirsi male. Sono corsa da lui. Aveva un gran dolore al petto. Ho cercato di non spaventarlo ma gli ho consigliato di chiamare i soccorsi. Mi ha chiesto una camomilla che io ho accompagnato con un po’ di miele. Forse in questa richiesta vi era il disperato bisogno di lenire la sua assoluta solitudine. Ha lottato la sorella per prendersi cura della madre che nonostante tutto aveva deciso di condividere fino in ultimo l’amarissimo destino del figlio. Questo mondo non era fatto per lui. In parte aveva ragione. Ora su Alessandro circolano tante “leggende” che fanno di lui un mostro di crudeltà, di sudiceria, di vizi inconfessabili, la vera crudeltà è proprio questa: pascersi di questi particolari per sentirsi non solo diversi soprattutto migliori.

Delfina Ducci