Per la rassegna Cinema per noi, venerdì 13 aprile alle 21 appuntamento con ingresso gratuito presso la Casa della Partecipazione in via del Buttero a Maccarese, con il film “Le cose verranno” del 2017. Mia Hansen-Løve, uno dei talenti più luminosi del giovane cinema francese, esplora i suoi temi prediletti – il tempo, l’abbandono e la riaffermazione di sé – in un film intimo sulla maturità.
Nathalie ha cinquantacinque anni, due figli, un marito e una madre fragile. Insegnante di filosofia, la sua vita si muove tra casa e scuola, principi filosofici e interrogativi morali. Affidabile, onesta e leale, Nathalie si prende cura della sua famiglia e di una madre anziana sfinita dalla vita. Il suo procedere spedito dentro le cose umane è interrotto dalla confessione improvvisa del consorte, che vuole lasciarla per un’altra, e dalla morte della madre, ricoverata a malincuore in una casa di riposo. Disorientata dal doppio abbandono e da una libertà ritrovata, Nathalie ripiega nel ‘rifugio’ di un ex allievo brillante e anarcoide. In quell’intervallo esistenziale e in compagnia di una gatta nera ereditata, ritrova il senso e il bandolo di sé.
A trentacinque anni e nello spazio di cinque film, Mia Hansen-Løve s’impone come uno dei talenti più luminosi del giovane cinema francese.
Portatrice sana di prodigiosa e secca eleganza, di economia narrativa e costruzione sentimentale di un eroe, di un’eroina o di un movimento artistico (Eden), l’autrice francese esplora con L’avenir i suoi temi prediletti: il tempo (che passa), l’abbandono e la riaffermazione di sé. Ma c’è una novità. Mia Hansen-Løve si allontana dalle rive della giovinezza per avventurarsi nella stagione della maturità con una protagonista che voleva essere amata per sempre e invece. E invece Heinz la lascia dopo venticinque anni di matrimonio e Nathalie si deve reinventare dentro la vita e la fluidità di un racconto prosciugato da deviazioni, diversivi e comprimari. Perché il cinema di Mia Hansen-Løve elude i passaggi ridondanti a favore dei preludi e delle conclusioni.
Questo il pathos morale di cui vibra L’avenir, che abbraccia con Nathalie la necessità di sperimentare un’altra versione di libertà, libera dall’assillo dell’autoaffermazione e capace di assumere i propri limiti e il proprio desiderio come forza che apre alla dimensione della filiazione, del progetto e del futuro. Una libertà generativa dentro un film frontale e intimo che considera la giovinezza attraverso la trasmissione intergenerazionale, magnificamente suggellata nell’epilogo, che rimbalza l’ex marito, inchiodandolo alla responsabilità delle proprie scelte (la compulsione a godere priva di soddisfazione), e allaccia Nathalie al nipote nel canto e l’incanto di una melanconia radiosa. Precipitata a corps perdu in una libertà ‘subita’, la protagonista si affranca dai suoi fantasmi e il film aderisce formalmente al suo sentimento, avanzando per ellissi e ritrovandola dentro la perdita. Per irrimediabile che sia, quel lutto doppiato l’ha aiutata a vivere, a trasfigurare oggetti teorici in “corpi erotici” che hanno adesso carne, spessore, profumo, densità. Nathalie è inciampata, nella vita e sui ciottoli della Bretagna, e ha fatto dell’inciampo il tema della lezione.