Manoj e l’amico d’infanzia Stanley hanno provato più e più volte, invano, a ottenere il visto per trasferirsi in Germania e trovare lavoro in modo da poter mantenere le proprie famiglie nello Sri Lanka. Truffato da un “trafficante di uomini” responsabile della bancarotta di Suresh – il cognato che ha elargito il denaro occorrente per il viaggio clandestino – Stanley è aggravato dal senso di colpa e dal fallimento, soprattutto ora che la sorella è costretta a trasferirsi in Medio Oriente per sostenere, da lontano, marito e figlia. Venuto a sapere che la Germania sarebbe lieta di invitare la Nazionale di palla a mano dello Sri Lanka a un torneo in Baviera, Stanley si ingegna a mettere insieme la squadra tra le sue conoscenze – tutti uomini relegati ai margini della società – e man mano che la voce inizia a girare, si uniscono sempre più personaggi desiderosi di abbandonare una vita di stenti per la propria affermazione come individui. Colpito da un trafiletto di giornale che riportava la notizia (vera) di un gruppo di ventitré singalesi che si erano spacciati per la Nazionale di palla a mano, senza neanche conoscere le regole del gioco, e una volta arrivati nel paese ospitante si erano dileguati nel nulla, il produttore Uberto Pasolini, nipote del Maestro Luchino Visconti, ha sentito la necessità di trasformare quella curiosa storia in un film. Deciso a passare dietro la macchina da presa per dirigere “persone vere che vivono nel mondo reale”, Pasolini si è circondato di alcune figure chiave dello Sri Lanka (l’autrice teatrale Ruwanthie de Chickera, l’attrice Damayanthi Fonseka e il regista Prasanna Vithanage che in Machan vestono i rispettivi ruoli di sceneggiatrice, responsabile casting e produttore) per tramutare il sogno di ventitré squattrinati organizzati in una fiaba cinematografica a lieto fine. Se il dramma diretto da Pasolini è alleggerito dalle tinte lievi della commedia e sembra rimarcare le orme (narrative) del Full Monty che il neo-regista aveva prodotto per Peter Cattaneo, le storie individuali dei personaggi toccano nel profondo e commuovono per la loro onestà. Il lavoro svolto dal Nostro nel tentativo di capire un paese dilaniato dai conflitti etnici è ottimamente risolto in fase di scrittura e descritto ancor più approfonditamente nella messa in scena realizzata nelle reali baraccopoli di Colombo, Sri Lanka. Affrontando un argomento come quello dell’immigrazione (e delle politiche che la regolano), con delicatezza, empatia e umorismo, Pasolini si incarica di ricordare allo spettatore la “disperata situazione nei paesi di origine dei tanti illegali che vediamo per le strade della nostra città” lasciando il pubblico con un sorriso sulle labbra e una stretta al cuore.