Una volta fatte le scansioni, dopo essere ritornato indietro nella memoria ai tempi del San Giorgio con quella bottiglia indimenticabile dal collo storto, il passo successivo è stato quello di chiamare Giovanni Zorzi che non ci ha pensato due volte e con l’entusiasmo e la passione per la ricerca che lo caratterizza ha ricostruito la meravigliosa storia del vino di Maccarese. (Fabrizio Monaco)

“La storia dell’uva e del vino a Maccarese ha radici lontane: dopo la bonifica integrale del 1925-1930  alcuni terreni, una volta livellati, si prestarono bene alle piantagioni delle vite. L’azienda agricola Maccarese fece subito costruire, oltre al Centro Raccolta dei prodotti ortofrutticoli e alla Centrale del Latte, una bellissima Cantina che riusciva a contenere circa 50mila ettolitri di vino. Tutto questo complesso era vicino alla stazione ferroviaria per agevolarne il commercio, tanto è vero che un binario entrava al suo interno. Nei terreni sabbiosi vicini al mare si produceva Montepulciano, Merlot e Sangiovese rosso, mentre il bianco era per lo più Malvasia di Candida, Trebbiano romagnolo e Trebbiano toscano. Poi c’era il Simeone, più adatto come vino liquoroso. La piantagione era a filari e veniva lavorata dai mezzadri che erano lavoratori venuti dal Veneto e solo alcuni dalla Puglia; avevano un contratto che prevedeva la consegna dei prodotti all’azienda Maccarese, una volta detratte le spesa, il guadagno si divideva a metà. Tutti, anche i bambini, partecipavano alla vendemmia di settembre-ottobre. Nei terreni sabbiosi si produceva dell’ottimo vino, tutta la vigna a filari veniva lavorata a mano o al massimo con l’aiuto del mulo: si raggiunsero anche i 100 quintali ad ettaro, distinguendosi comunque anche per l’ottima uva da tavola.
Negli anni ’50-’60 l’azienda incrementò molto la coltivazione della vite con filari anche a “tendone” e si arrivò ad un totale di oltre mille ettari utilizzando naturalmente i propri operai. Per il vino di Maccarese erano anni d’oro: veniva venduto in Italia ed anche all’estero. Nel 1968 vinse il “Bacco d’oro”, partecipò spesso con successo alla sagra dell’uva a Marino. C’era una serie infinita di tipi vino che veniva distribuito anche nei treni e negli aerei. Vennero molto apprezzati sia la Riserva San Giorgio, con la sua famosa bottiglia con il tappo in cera lacca, ed il Moscato bianco; tutti e due venivano scelti per accompagnare il dessert. Si narra che molto vino, specialmente nei fiaschi, veniva bevuto dagli operai dell’azienda stessa ed il primato spettava agli operai del vivai: gente forte che amava… il succo d’uva.
Per alcuni braccianti il tempo della vendemmia  era un sacrificio ma anche tanta soddisfazione: alcuni grappoli era veramente un peccato tagliarli per quanto erano belli. In vigna lavoravano circa 600-700 persone per lo più donne.
La signora Lina ci racconta: “si lavorava tanto ma con allegria. Si cantava spesso e a me piaceva la canzone che dice ..mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar, cento lire io te le do ma in America no, no, no! La sera non si vedeva l’ora di andare a casa a lavarsi perché il succo d’uva entrava dappertutto. Ricordo che alcuni uomini si gettavano nei canali: a quel tempo si che l’acqua era pulita”.
Molte persone hanno lavorato le vigne e nelle cantine con capacità e passione; circa 30 erano le persone addette al confezionamento e alla vendita. Ci fa piacere ricordare l’ultimo enologo, il Dottor Pasqualotti, che per migliorare la qualità del vino faceva arrivare del mosto dalla Puglia e dalla Sicilia: terre quindi baciate dal sole che aiutavano a migliorare la gradazione del vino.
Alcuni ricordano l’amministratore Simonazzi, i direttori Laganà e Pasquali, i capi azienda Bentivoglio e Chiaradia, i fattori Castagna e Bozzetto, ed infine Loizzo che fino all’ultimo ha custodito bene le grossi botti in legno di rovere all’interno della cantina. Questi signori sono solo alcuni, altri meriterebbero di essere menzionati. Il signor Menegotto con nostalgia ci racconta che molto vino veniva venduto a Roma e che il signor Marocco durante l’estate vendeva vino ai villeggianti diretti alle ville di Fregene. Le cantine, e di conseguenza il vino Maccarese San Giorgio, finì a malincuore nel 1987. In quegli anni la Comunità europea dava soldi per togliere le vigne (sic!) e la Maccarese ne approfittò. Ad onor del vero un calo della produzione e della qualità si ebbe già a metà degli anni ’70 con la dismissione della mezzadria: i coloni entrati in possesso dei terreni iniziarono a coltivare altre colture come carote, cocomeri e meloni.
I nuovi proprietari dell’azienda (famiglia Benetton), da alcuni anni propongono con successo il vino Maccarese bianco e rosso in collaborazione con la cantina di Torre in Pietra che dispone di ottimi vigneti.
Dei miei ricordi di bambino piace menzionare la bellezza della tenuta Maccarese, con filari pieni di grappoli d’uva favolosi che brillavano al sole e quelle stupende rose davanti ad ogni filare… ti riconciliavano con la vita. (Giovanni Zorzi – responsabile Ecomuseo del Litorale Romano Polo di Maccarese)