Tre giorni di indagini serratissime, ieri il sospetto numero uno sarebbe stato interrogato prima in commissariato poi in Questura. In serata, sempre secondo indiscrezioni, l’uomo, un italiano che aveva trascorso la Pasquetta con la vittima, sarebbe stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria. Ma su questo e altro ancora gli inquirenti, squadra mobile e magistratura di Civitavecchia, mantengono il massimo silenzio.
Ma c’è comunque aria di svolta nell’inchiesta sulla morte del cinquantanovenne di Ostia originario di Reggio Calabria trovato privo di vita in via Rombon, nell’area archeologica di Sant’Ippolito, da alcuni operai del Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Romano durante il controllo a un’idrovora. Quello che sin dal primo momento appare come un brutale omicidio (la vittima ha una profonda ferita d’arma da taglio nell’addome) è destinato a diventare un giallo. Chi è quel poveretto scaricato la notte prima sul greto del Tevere all’altezza dell’antico ponte di Matidia? Il medico legale, il dottor Stefano Moriani, è certo che la morte risale al massimo al giorno prima. Causa del decesso? La forte emorragia provocata da un taglio orizzontale nella pancia lunga ben venti centimetri. Un colpo potente inferto da sinistra a destra e verso il basso. Sul cadavere, inoltre, i poliziotti non trovano documenti (in una tasca solo alcune monete).
Vestito con jeans, maglietta bianca e calzini scuri, l’uomo verrà identificato da alcuni parenti il giorno dopo, appena letta la notizia sui giornali. Si tratta di un modesto imprenditore edile calabrese da anni residente in via Marino Fasan, a Ostia ponente. Un precedente insignificante alle spalle (l’uomo viene trovato senza documenti durante un controllo stradale), Zaffino non avrebbe nemici. Mentre l’abitazione viene messa sottosopra alla ricerca di indizi utili, sommozzatori della polmare e agenti della polizia scientifica scandagliano il Canale navigabile alla ricerca dell’arma, un coltello affilato come un bisturi. Inutilmente. Giovedì mattina, invece, viene recuperato un sacco con coperte e asciugamani intrisi di sangue. Quanto basta per ricostruire la dinamica dell’omicidio: dopo una lite avvenuta altrove (sul posto non ci sono tracce ematiche) e il tragico epilogo l’assassino decide di trasportare Zaffino in un luogo fuorimano caricandolo in auto. Lontano da occhi indiscreti lo scarica nel Tevere sperando di sbarazzarsene per sempre. Qualcosa non va per il verso giusto (almeno secondo i calcoli del killer) e il corpo non finisce in acqua. Ma questo l’omicida non lo sa. Pensa solo a fuggire e a cancellare più tracce possibili. I poliziotti arrivano comunque al presunto omicida. La parola, adesso, al gip per l’eventuale convalida del fermo. (Ilgiornale.it di Stefano Vladovich )