Quella che a inizio agosto poteva apparire una bolla speculativa oggi assume i caratteri di un riposizionamento duraturo del mercato su livelli più alti del 15-20 per cento rispetto a luglio. Nell’ultima settimana di agosto, secondo le rilevazioni Ismea, il prezzo medio del grano duro in Italia ha superato i 207 euro la tonnellata, circa il 10% in più rispetto a quelli della prima settimana dello stesso mese. Ancora più forte è stato l’aumento del frumento tenero, il cui prezzo medio è salito di oltre il 14% in meno di un mese, dai 187,47 euro della prima settimana ai 214,22 dell’ultima. I prezzi medi di agosto, che l’Ismea ufficializzerà nei prossimi giorni, evidenziano il salto delle quotazioni nell’ultimo mese: confrontando le medie di luglio e agosto, per il grano duro l’aumento è stato del 15% mentre per il tenero il balzo è stato quasi del 22%. «Le attività produttive sono ripartite e dunque, a differenza di quanto si poteva ipotizzare un mese fa – spiega Claudio Destro, direttore generale di Maccarese, azienda di 3.200 ettari – quelle di oggi possono essere considerate quotazioni reali in quanto frutto di scambi più consistenti di quanto accadeva prima della pausa estiva». In ogni caso è bene ricordare che, almeno per il grano duro, i prezzi medi attuali restano inferiori di quasi il 10% rispetto allo stesso mese del 2009, per non parlare dei picchi raggiunti tra l’estate 2007 e la prima metà del 2008. Diversa è la situazione per il tenero che gli ultimi rialzi hanno portato a livelli del 37% in più rispetto ad agosto dell’anno scorso. Non a caso è proprio l’andamento del frumento tenero a preoccupare di più l’industria molitoria. Il movimento dei prezzi verso l’alto ha coinvolto anche il mais, passato da 140 a 200 euro la tonnellata. E questo, invece, preoccupa gli allevatori «dal momento che il mais è l’alimento principe della zootecnia mondiale – afferma Destro – e la grande distribuzione non ci consente di trasferire gli aumenti su carne e latte». Ma la preoccupazione dei consumatori è proprio questa: che l’aumento delle materie prime si trasferisca nel giro di qualche settimana sulle farine e di conseguenza su pane, pasta e prodotti da forno. Umberto Sacco, presidente di Italmopa, l’associazione dei molitori associata a Confindustria, non vuole parlare di aumenti dei prodotti intermedi: «Non sta a me farlo. Ogni azienda si regolerà come meglio crede. Dico solo che sui prodotti di cui si discute il costo della la materia prima incide per l’80% sul prodotto finito». Sacco però se la prende con gli agricoltori italiani, che – in attesa di ulteriori aumenti dei prezzi – tengono in magazzino il raccolto. «Riproporremo alle istituzioni nazionali e comunitarie – afferma Sacco – la costituzione di scorte strategiche per il grano tenero, una proposta già formulata due anni fa e oggi condivisa anche dai nostri colleghi francesi. Per il grano duro chiediamo l’implementazione dei contratti di produzione tra agricoltori e industria. Si tratta di due strumenti secondo noi in grado di contenere situazioni di forte volatilità come quella attuale, spesso aggravata della speculazione finanziaria, che non giovano né al mondo agricolo né all’industria». L’andamento del mercato italiano non può che riflettere ciò che accade sui mercati internazionali che hanno risentito pesantemente, tra siccità e inondazioni, del calo dei raccolti in Russia, in Canada, ma anche nel Nord Europa. L’ufficio analisi del Dipartimento americano per l’agricoltura (Usda) nel report di agosto ha rivisto nettamente al ribasso rispetto al mese precedente le previsioni del raccolto mondiale di grano (duro e tenero) per la campagna 2010-2011, stimando un calo del 5,08% rispetto alla stagione precedente. Un dato che preoccupa anche la Fao per gli effetti sui prezzi alimentari. L’indice elaborato dall’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha messo in evidenza «un aumento del 5% dei prezzi alimentari internazionali, uno tra i più alti da settembre 2008». Al calo della produzione di grano si accompagna l’incremento dei consumi mondiali che a luglio l’International grains council stimava intorno all’1,1%. Questa situazione porterà inevitabilmente ad una riduzione degli stock che sempre a luglio era stimata del 2,5% ma che potrebbe rivelarsi ancora più elevata. «Non c’è un problema di penuria – sostiene Destro – ma il mercato si deve riposizionare dopo i problemi in Russia e in Canada. Aumentano i prezzi e si intaccano le scorte». (Il Sole 24 ore)