La trama: la lotta per i diritti degli operai, non finisce mai. Sembra che non vengano mai raggiunti accordi significativi, che il lavoro, sfiancante e pericoloso, sia sempre più precario. Sembra che gli operai siano costretti a sopravvivere sempre, che non possano mai concedersi un attimo di pace. I soldi non bastano mai, la famiglia spesso è lontana, il lavoro è insoddisfacente eppure necessario, la vita privata è ridotta al minimo. In periodi come questo, in cui si avverte forte il bisogno di  un risveglio della coscienza collettiva, è interessante rivedere il lavoro di un regista che ha deciso di soffermare il suo sguardo su una realtà forte e vibrante, ma che a volte trova poco spazio per esprimersi. Sorvolando una facile retorica e abbracciando invece le pene che accompagnano la vita di molti lavoratori, Riccardo Milani ha raccontato la storia di alcuni operai che da un giorno all’altro si ritrovano senza lavoro. È una storia come se ne sentono tante, una storia di gente comune, di persone costrette a sacrifici immani per restare a galla. La sede italiana della multinazionale americana CarAir, produttrice di pneumatici, comunica agli operai l’imminente chiusura degli stabilimenti e il conseguente licenziamento degli stessi, molti dei quali provenienti da un piccolo paese delle montagne circostanti. Gli operai non si arrendono, reagiscono, si organizzano. Decidono di presidiare la fabbrica, di rivolgersi al parlamento europeo, di andare finanche negli Stati Uniti per cercare di risolvere la questione. Fra i tanti che si battono, spiccano le vicende di Antonio (Silvio Orlando), che sogna di poter tornare nel paese d’origine con Nina (Paola Cortellesi), la sua fidanzata che ora vive, sempre per lavoro, a Milano, di Salvatore (Michele Placido), sindacalista e di Mario (Claudio Santamaria), che ha un mutuo sulle spalle, una famiglia con due bambini piccoli e tanta voglia di riscatto. Il film racconta le difficoltà, le lacerazioni, le sofferenze che una larga fascia della popolazione subisce. Siamo oramai lontani dalla realtà raccontata da Visconti in Rocco e i suoi fratelli? Rocco era orgoglioso di portare la divisa della fabbrica, era un punto di riferimento per tutti quelli che ambivano allo stesso posto di lavoro. Oggi, in epoca di lavoro post-fordista, ci troviamo di fronte ad operai che subiscono una perdita di ruolo, che non si sentono realizzati, che non capiscono le finalità di ciò che fanno. Si trovano in una posizione scomoda: da una parte devono tenersi il posto di lavoro, che spesso li uccide, dall’altra vorrebbero tornare a casa e fare qualcosa che davvero li realizzi. È un film forte, vigoroso, come solo i deboli e i perdenti sanno esserlo. È un film triste eppure comico, un film in cui la realtà si fonde con la fantasia. È un film tragico eppure ricco di speranza.