“Ripenso a quella pistola puntata contro di me. Ora non mi sento più al sicuro…”. L’incubo di quelle ore è sempre nella sua mente, con quei due rapinatori che avevano fatto irruzione nel bar. Lei ha reagito, ha preso un coltello e ha accoltellato un malvivente. Ferite mortali per l’uomo che poi è morto dissanguato.

LE REAZIONI

Fiumicino ora la protegge. Non rivelando persino il suo nome. Per tutti è Alina. Solo Alina. Chi la conosce all’Isola Sacra la descrive come una brava donna, un’infaticabile lavoratrice e la mamma premurosa di una bimba che ha appena iniziato ad andare a scuola. Arrivata in Italia una decina di anni fa, ultimamente lavorava nel bar di via Monte Solarolo dove l’altra sera c’è stata l’irruzione dei banditi. A Fiumicino in molti la ricordano meglio però per il piglio deciso con cui serviva i caffè al bar della banchina. Quello dei pescatori. “Seria e precisa. Sempre puntuale, all’alba stava già alla macchina”, racconta Mario un pescatore che sistema le reti in via Torre Clementina. È proprio qui, dove i pescherecci di Fiumicino ormeggiano e scaricano il pesce per andare all’asta, che Alina ha lavorato prima del nuovo incarico nel bar a Isola Sacra. “L’ho vista tante volte – racconta Ennio Necci che vive in zona – La sera faceva spesso tardi per sistemare i tavoli. Notavo che spesso si portava dietro anche la bimba che, tornata da scuola, l’aspettava fino alla chiusura. Quando ho sentito della rapina e di come quella poveretta si era difesa, ho temuto che ci fosse la figlia presente. Qui è un caos: tanta microcriminalità e pochi mezzi alle forze dell’ordine”.

IL RACCONTO

Alina ieri è stata protetta dal suo avvocato, un legale di Ostia. All’Isola Sacra non si parla d’altro. Di quella mamma quarantenne che ha ucciso “per difendere il suo lavoro”. Lei è ancora sconvolta e continua a ripetere quanto detto agli agenti dell’ospedale Grassi dove era andata subito dopo la colluttazione con il rapinatore per farsi medicare un braccio. «Un conto è quando certe cose succedono nei film. Quando succedono nella realtà. Oddio mio, non riesco nemmeno a pensarci». Gli agenti l’hanno piantonata davanti alla sala gessi del pronto soccorso di via Passeroni. Lei, capelli lunghi neri raccolti in una coda e ancora addosso gli abiti dal lavoro, è rimasta per parecchio tempo con un fazzoletto di carta in mano e quel braccio dolorante stretto al petto. “All’inizio – ha sussurrato ai due poliziotti – ho visto uno con il viso coperto, ma non avevo capito. Solo quando si è girato puntando la pistola ho realizzato”. Parole che la donna ha detto senza sapere ancora che uno dei rapinatori è morto. Fra i corridoi dell’ospedale Grassi la donna sembrava cercare conforto nello sguardo dei due agenti. Ieri, in ogni caso, a Fiumicino erano tutti con lei. «Si è difesa», dicono alcuni anziani fermi davanti al bar di piazza Grassi. “Che doveva fare? Subire l’ennesima rapina come facciamo noi? O magari farsi ammazzare?” grida la cassiera di un altro bar di via Torre Clementina. Aggiungendo: “Speriamo che ora non sia lei a passare i guai”.

Mara Azzarelli – Il Messaggero.it foto di Mino Ippoliti