“Mi dispiace sempre vedere o sapere che un delfino si è spiaggiato morto su una delle nostre spiagge. Questi animali sono amati da tutti – a sentir dire – ma sono molto trascurati da chi li dovrebbe proteggere e tutelare. Un delfino non è un animale qualsiasi – ammesso che si possa fare una discriminazione tra animali, che per me vanno tutti amati e tutelati – un delfino è un animale a elevato rischio di estinzione, è un mammifero come noi, e non un pesce, come tante volte ho sentito dire dalle persone; la femmina allatta i suoi piccoli per un lunghissimo tempo, a seconda della specie di Cetacei a cui appartiene, e con il suo cucciolo intesse gli stessi rapporti materni, di attenzione, sorveglianza, cura, educazione, che intessiamo noi umani con i nostri figli ed i nostri piccoli. Il mondo dei Cetacei è un mondo a parte; però la profondità dei mari e degli oceani non li protegge dalle incursioni umane per un semplice motivo: respirano aria atmosferica come noi, e pertanto devono riemergere a ritmi regolari per inalare, e mangiano il pesce, come facciamo noi. E proprio questi sono i motivi per cui li troviamo spiaggiati con ferite da armi da fuoco o da fiocine: sono ingiustamente considerati da alcuni dei “ladri di pesce” e sono visti come un tempo venivano considerati i lupi sugli Appennini da chi allevava bestiame… Sono passati decenni, ed ancora li vedo lì, i miei amati delfini, morti su una spiaggia, presi come carcasse qualsiasi, inceneriti, senza che venga dato loro almeno il nome della specie il cui corpo fino a poco prima abitavano, e senza soprattutto che se ne conosca la causa della morte, e non posso fare niente per proteggerli… A memoria ricordo che almeno quasi uno all’anno si spiaggia sul nostro litorale, soprattutto sui nostri lidi più prestigiosi, perché ancora ricoperti di dune, malconce ma sempre dune, come nelle località di Focene e Fregene. Dovete sapere che una probabile origine del nome “Focene” deriva dalla focena, un piccolo delfino pelagico, che viveva abbondantemente a largo delle nostre coste al tempo degli antichi Romani e forse fino all’avvento della bonifica. A giudicare dalla foto allegata all’articolo, quello mi sembra, ma non posso dirlo con certezza perché non ero lì, un individuo giovanile di tursiope, vista la colorazione tripartita del corpo (grigio scuro sul dorso, grigio chiaro sui fianchi, più chiaro sul ventre); il sangue apparentemente ancora fresco intorno al suo corpo, sulla sabbia, fa stranamente pensare ad un trascinamento oppure ad uno spiaggiamento da vivo, perché altrimenti se fosse morto in mare l’acqua stessa avrebbe lavato la ferita; ma queste sono solo ipotesi. È ritornato a casa a morire? Chi gli ha sparato o l’ha colpito con una fiocina? Non lo sapremo mai, perché nessuno si è preso la cura di informare me, che sono una biologa marina di questo Comune, che qui vivo, e che ho sempre dato la mia disponibilità a recarmi sul posto per prendere i dati autoptici ricavabili dall’osservazione del corpo di un delfino morto. Siamo diventati una società che si affascina ai documentari sugli animali più letali e pericolosi al mondo, che guarda le classifiche per capire se rischia più da un morso di mamba nero o da quello di un coccodrillo, ma nulla sa, o vuole sapere, della fine di un piccolo delfino, che condivide con noi il limite fisico di una spazio più grande, perché il nostro territorio non è fatto solo di campi, di strade, di colline, di centri commerciali, è fatto anche di acqua, marina e dolce, e non possiamo eliminare ciò che fisicamente ci appartiene, ma dobbiamo tutelarlo, difenderlo, migliorarlo, prendercene cura, proprio come ci prendiamo cura del nostro giardino e della nostra casa. Un delfino che muore è un grido del mare; è un assassinio; è un omicidio. Un delfino non si suicida, viene fatto morire. E siccome sta al vertice della catena alimentare, la sua morte interessa egoisticamente tutti noi, perché è il simbolo di una agonia collettiva. Per me i delfini, ai quali ho dedicato i miei studi ed il mio lavoro, all’estero e fin quando ho potuto qui in Italia, rappresentano un amore che mi accompagnerà per tutta la vita; sono come quei legami eterni che si creano senza sforzo, solo perché si è nati così. Perciò, amici lettori, se disgraziatamente doveste vedere qualche delfino spiaggiato, scrivetemi: danielapascucci@hotmail.com; ho l’iPhone è leggo subito le e-mail. Grazie e conto sulla vostra collaborazione, anche in campo”.