È straordinario sentirsi sempre diverse, il vestito fa miracoli, trasforma la giornata di cacca in una figata di incontri positivi. Sentirsi bene con la nostra persona è già un antidoto contro la pigrizia e la svogliatezza, i nemici del nostro aspetto esteriore. L’industria del lusso ha trasformato la moda in una corsa a ostacoli obbligatoria e spietata. La vera moda quella che si vede nelle strade in realtà non ha nulla a che fare con questa corsa… La creatività degli stilisti è entrata in competizione con l’arte, gli abiti vogliono essere opere d’arte e allora non è più moda, non è realtà, è l’ego smisurato di un io narcisista confusa spesso con l’indipendenza creativa. Umorali, suscettibili, portati all’ira, gli stilisti giudicano le cose attraverso i sentimenti e i pregiudizi personali. Intelligenti in tutto, attraenti, magnetici, dinamici, non sono propensi ad accettare le opinioni altrui… icone inamovibili i cui diktat sono imposti a donne e uomini sottoposti ai loro capricci… Perché dare vita ad astratti manichini? Quale identità deve venire fuori da queste creazioni? E la diversità di genere? L’abbigliamento in nome di una libertà deve evitare il cattivo gusto che ha conseguenze irreparabili sul piano dell’immagine. La ricerca spasmodica dell’originalità ha reso vincenti i modelli come la lusinga dell’eterna giovinezza: donne e uomini belli e giovani a qualunque costo, il valore massimo a cui tendere, pena l’emarginazione. Se la donna fosse più libera, saprebbe gestirsi dai condizionamenti con intelligenza. La maggior parte purtroppo si è omologata e ha perso l’occasione di spezzare le catene, ha perduto il senso critico. Si è arresa.
Spesso non ci sono discorsi per spiegare certe scelte o comportamenti. Voltaire diceva: “tutto quello che ha bisogno di una spiegazione non vale”… E allora continuiamo a travestirci più che a vestirci, dove l’eccesso e l’esagerazione fanno di noi maschere iconiche. Torniamo indietro per interpretare il nuovo. E con un pizzico di ironia.