La casa zeppa di fiori bellissimi, di regali importanti e anche di semplici biglietti scritti con il cuore a una “donna di ferro” che s’innamora di Fregene quando il figlio più piccolo ha bisogno di cambiare aria perché soffre di asma. Sono seduta di fronte a lei,  sbuffa dal caldo, parla con fatica, aiuta la respirazione con l’ossigeno. “Lo sai che ho fatto 90 anni?”, mi dice con aria incredula quasi a non volersene capacitare lei stessa. Rispondo “non ti preoccupare: gli anni sono come i libri sibillini, più se ne consuma più diventano preziosi”. La redazione di Qui Fregene non vuole far passare sotto silenzio un avvenimento così importante della benefattrice, della mecenate, di una donna che si è sempre rimboccata le maniche per tutti. “Insomma Alessandra, tanti  fiori non li hanno portati sulla tomba ma a casa tua!”. Si fa una gran risata, accompagnata da qualche gesto di scongiuro e m’invita a visitare le stanze piene di ricordi, foto con personaggi importanti, riconoscimenti, i momenti felici con i figli piccoli e aggiunge che Enrico la chiama ancora “mammona”.
La casa in cui ha abitato tutti questi anni era della madre dell’ex governatore Paolo Baffi. “Mi sono innamorata subito di Fregene – dice – è stata tutto per me, soprattutto il benessere di Giuseppina e Enrico, un ambiente certamente più sicuro di Roma. La grande città nasconde insidie mentre qui è stato più tranquillizzante, più bello, più libero per i miei figli. E così mi dispiaceva anche per i ragazzi del luogo costretti ad affrontare il viaggio nella capitale per frequentare le scuole superiori”.
Alessandra è dinamica, una donna con i piedi per terra, molto pratica, alla mano. Mi ha colpito una sua frase durante il colloquio: “Sono una donna umile. Diceva mia madre che anche le principesse hanno bisogno della vicina di casa”. Ecco, questa espressione racchiude la sua personalità, che le permette di star di fronte ai presidenti o generali o in qualsiasi distinta società. Lei è sempre se stessa. Il nostro colloquio è interrotto da continue telefonate anche dei figli che la informano della loro giornata e lei  partecipa, distribuisce consigli, si preoccupa. “Giuseppina è più calma, è tutta il padre, la ricordo al liceo riservata, molto studiosa”, le dico. “Enrico anche lui è stato studioso perfino troppo”, interviene a difesa del cucciolo… “Quando ero supplente alle scuole medie era vivace, burlone, simpatico – replico – decisamente più vicino a te come carattere. Tanto studioso? Bah!”. “Ehi bella! – ribatte – È professore universitario e ancora studia. Ha insegnato economia 14 anni, poi ha scelto di diventare avvocato, è ancora all’università… Ha avuto buone basi al liceo che ho voluto fondare. Che esperienza!”. Le si illuminano gli occhi. “La battaglia è stata dura sembrava impossibile vincerla invece con l’aiuto anche delle persone che hanno creduto in me, ce l’abbiamo fatta. Ricorda  di essersi perfino inginocchiata davanti alla direttrice scolastica Zenga: “L’ho implorata”, dice alzando la voce, rivivendo quel momento. E viene fuori sto liceo con persone speciali: “Maria Pia Rotundi e io eravamo le bidelle. Poi facevo l’autista alla preside Palma, andavo a prenderla alla stazione di Maccarese. La gente del luogo non iscrive i figli, Fiumicino non risponde. Ci sono 12 alunni iscritti e la preside non poteva richiedere il personale per questo esiguo brandello di coraggiosi. La preside fu pure trasferita in una scuola all’Eur. Sembrava la fine invece siamo andati avanti, abbiamo conquistato la fiducia e… hai visto cosa è diventato?”.
Maria Alessandra non si è mai arresa, ha cominciato presto a “rompere le scatole”, Enrico frequenta l’asilo a fianco della scuola media e lei si batte per far costruire un palco. Tanta beneficenza non è ad personam, non per agevolare la vita dei suoi figli, pensa ad arricchire il luogo di strutture, di servizi, di renderlo autonomo e inseguendo questo intento continua a battersi per mettere su anche una sezione Geometri in quel terreno di cui è stata mediatrice con Benetton. E poi la Ragioneria a viale di Porto con la preside Barbafiera… Le si asciuga la bocca tanto il suo parlare diventa animoso, emozionante e allora chiama la servitù e: “a me un bicchiere d’acqua per favore e a Delfina il dolce che hai preparato”. Il dolce lo portano anche a lei e mentre lo gustiamo insieme precisa che non può mangiarlo perché la ingrassa ma se ne frega e lo divora e la colpa è mia che l’ho costretta a mangiarlo. Ora sta mentendo spudoratamente… “Ma di dove sei originaria”, le chiedo. “Sei veneta ma di dove?”. “Vivevo ad Oderzo lungo quel fiume, ignorante fino a 14 anni, non sapevo neppure come nasceva un bambino. Dai 15 ai 17 anni ho assistito mia madre malata, ho avuto due fratelli prigionieri in campo di concentramento. Nel 1976 c’è stato il terremoto del Friuli, sono partita col pulmino, di Angelini e Lino Spinardi, pieno zeppo di roba che le signore di Fregene avevano stirato e lavato. È stata fatta perfino una colletta per donare una roulotte a una signora molto malata. Una cena alla Conchiglia di Fregene è stato il grazie a coloro che avevano partecipato generosamente. Ho avuto occasione di aiutare tanta gente e l’ho fatto di cuore, tanto quanto papà Baffi che non ha detto mai di no a tutte le mie sollecitazioni. Alla sua morte ho donato tutto all’Ail di Mandelli, di cui io ero socia insieme alla signora Galimberti di Fregene. Avrei voluto fare il medico…”. “Se continui a raccontare qui si fa notte – replico – ed io devo tornare a casa, ho il cane, i gatti”. “Ma tuo marito come sta? – mi chiede – Per tanti anni l’ho incontrato sull’autobus che andava a Roma”. Non rispondo, lei mi accarezza la mano e per farmi superare l’amarezza grida alla servitù. “Portate per favore un altro po’ di dolce”. Poi mi guarda e: “Mangiamocelo, così ce passa la tristezza”.
“E ci sarebbe anche da parlare del WWF, di Macchiagrande, dello Sci Club Fregene…”
“Sì vabbé, ciao!”.

Delfina Ducci