Tutto nasce nel tempo durante il quale, vivendo gli aneddoti che descriverò, si è maturata in me la presuntuosa idea di far riflettere chi, riconoscendosi in quello che narrerò, abbia l’umiltà e la voglia e soprattutto la capacità di cambiare.
Lo psicologo analitico James Hillman scrisse che l’ambiente nel quale viviamo influenza la qualità dei nostri pensieri. Quindi, se ci circondiamo di oggetti ed esperienze di bassa qualità, anche la qualità dei nostri pensieri ne risentirà negativamente.

Pasqualino…
Quando arrivò in palestra, io e Federica, mia assistente di allora, ci rendemmo subito conto che si trattava di un bambino molto grazioso nei modi ma certamente con qualche difficoltà.
Notammo che, anche solo lo scendere o salire le scale per lui era qualcosa che poco aveva a che fare con la coordinazione motoria e, a 9 anni circa, non è una cosa di poco conto.
Pasqualino si muoveva in maniera “strana”. Era un bambino introverso, timido ma si adattò alla palestra e all’arte marziale in tutti i suoi aspetti.
Durante i viaggi verso la palestra e al ritorno a casa, per me e per Federica, Pasqualino era diventata una conversazione di routine. Cercavamo in ogni maniera di fargli recuperare quello che non aveva e che invecea 9 anni avrebbe dovuto avere già da tempo. Ne parlavamo e cercavamo di dargli più stimoli possibili per farlo essere più “normale”. Insomma per noi era diventata una sfida con noi stessi.
Ogni lezione davamo stimoli sempre più intensi e di varia difficoltà ma gioivamo nel vedere che, seppure con molta titubanza e con qualche aiutino, Pasqualino si impegnava e piccoli miglioramenti c’erano nonostante le 2 sole ore di lezione a settimana.
Pasqualino teneva le manine semi chiuse come chi ha atteggiamenti che non saprei denominare, né descrivere, ma lavorammo anche sotto quell’aspetto e man mano Pasqualino riuscì a “aprire” le sue magrissime mani. Quasi come se iniziasse a affacciarsi al mondo con maggiore serenità.
Federica e io, ci guardavamo durante le lezioni e provavamo silenziosamente grande gioia nel vedere che Lui si impegnava e tutte le nostre riflessioni su come farlo migliorare iniziavano a dare frutti. Eravamo orgogliosi di noi stessi e felici per lui.
Dopo soli 4 mesi Pasqualino scendeva le scale normalmente e durante gli esercizi riusciva a saltare a piedi pari ben 3 Step uno sopra l’altro (circa 45 cm), aveva imparato a saltare su un piede alla volta a fare lo slalom tra i compagni messi in fila indiana, aveva persino imparato a saltare verso il basso riuscendo così a superare quel famoso feedbak che, in qualche maniera, limita un po tutti, soprattutto i giovanissimi, quando si lasciano cadere verso il basso.
Aveva imparato le tecniche, ma di questo ci interessava poco perché prima dovevamo e volevamo recuperare ciò che Pasqualino avrebbe dovuto avere da tempo.
Gioivamo davvero ma… arrivò il giorno degli esami in palestra.
Poco prima di iniziare la sessione d’esame il papà di Pasqualino mi chiamò in disparte e mi disse “le sarei grato se non chiamasse più mio figlio Pasqualino, si chiama… (veramente non ricordo come si chiamava)… sa, non vorrei che poi lo facciano soggetto a scuola”. Rimasi perplesso, amareggiato, incredulo, risposi solamente…” guardi che è un appellativo affettuoso, a 50 anni (allora) mica mi realizzo prendendo in giro un bambino di 9 anni, comunque stia tranquillo lo chiamerò col suo nome”.
Iniziai a ripetermi quel nome nelle mente perché, non l’ho ancora detto, non sono ne fisionomista né ricordo i nomi, bensì “ricordo” molto bene tutto ciò che mi lascia stupito e che, in qualche maniera mi stravolge, mi segna, mi ferisce e… questo non lo dimentico mai.
Non ero indignato perché quel papà m’aveva fatto quella richiesta, né perché avrebbe potuto insinuare che prendevo in giro suo figlio, no, non ero indignato per questo ma lo ero perché mi stava negando di esternare il mio affetto verso Pasqualino.
Alla fine degli esami, nonostante la tensione nervosa degli esaminandi, tutti, Pasqualino compreso, fecero la loro bella figura ma ciò che premiò di più me e Federica fu proprio l’impegno che ci mise Pasqualino che mettemmo all’improvviso di fronte a quello che solo pochi mesi prima per lui era qualcosa di inimmaginabile e, senza averlo precedentemente provato gli mettemmo ben 4 Step uno sopra l’altro da dover saltare a piedi pari sia sopra che dalla parte opposta. Federica e io ci sentivamo quasi in colpa per averlo sottoposto, proprio durante gli esami, a quella prova ma ci credevamo e sapevamo entrambi che ce l’avrebbe fatta.
Pasqualino si portò vicino agli Step, ci guardò, le sue manine tornarono a chiudersi come quando era arrivato in palestra i primi giorni, ci guardò ancora, gli dissi “ce la fai!”, piegò le sue esilissime gambine e… saltò sopra gli Step. Ci guardò, sorrise, credo fosse felice. Gli dissi “non hai finito ora devi saltare dalla parte opposta a piedi pari senza sfiorarli”, titubò qualche attimo poi flesse le ginocchia spinse sui piedi, coordinò le braccia, si diete lo slancio e… saltò.
Dopo 14 anni ricordo ancora la sua espressione, il sorriso, la gioia.
Alla fine dell’esame consegnai le nuove cinture conquistate, uno dopo l’altro, leggendo sul verbale di esame i loro nomi (perché non è che non ricordassi  solo quello di… Pasqualino… NON ricordavo proprio i NOMI in generale). Fosforo? Può darsi!
Quando arrivò il suo turno, sempre leggendo sul verbale d’esame e ripassandomelo nelle testa, lo chiamai… per nome, si avvicinò gli porsi la nuova cintura, il diploma e gli strinsi la mano. Nonostante fossi molto severo e quindi incutessi molta soggezione, Pasqualino mi disse (e sentirono in molti, papà compreso che stava sulla cima delle scale)… “perché non mi chiami più Pasqualino?”.
In pochi attimi dovetti fare a lotta con me stesso e dovetti decidere se dargli una risposta formale o dirgli la verità. Decisi per quest’ultima e gli dissi “chiedilo a tuo papà” e indicai quel “signore” che stava sulle scale.
Pasqualino la lezione successiva non venne in palestra e così le altre ancora. Pasqualino non venne più in palestra.

Enrico Grisoli