Dopo Palermo, Genova e Catania, Alitalia, ha proseguito Sabelli, intende procedere a esternalizzare le attività ‘no core’ dei servizi di terra negli aeroporti di Bari, Cagliari, Alghero e Brindisi, e, tenuto conto della possibilità di ricorrere allo strumento della cig, queste operazioni non avranno alcun impatto occupazionale. La questione, ha riferito Sabelli, è stata posta ai sindacati nel corso di un incontro che si è svolto il 24 novembre scorso. ”Nell’ambito di una normale dinamica nei rapporti con le organizzazioni sindacali, abbiamo posto un tema che viene da lontano. L’accordo raggiunto sul piano Fenice prevedeva 13 mila dipendenti. Oggi, in realtà, siamo oltre 14.000 e, nei periodi di picco, arriviamo a 14.600. Mano a mano che vanno avanti i processi di riconversione e di efficientamento si crea il bisogno di ridefinire sia il livello dell’organico che quello del mix professionale. Questo- ha evidenziato Sabelli- e’ un fatto virtuoso e l’abbiamo detto ai sindacati”. Non la pensano così però i dipendenti della compagnia, come ha scritto una cassintegrata Alitalia in una lettera pubblicata oggi su “Il Messaggero”: “Sono rimasta sorpresa nel leggere le dichiarazioni del Dr Sabelli amministratore delegato di Alitalia compagnia aerea italiana riguardo i tagli per 1.000 dipendenti. riporto sue parole: sono previste esternalizzazioni e casse integrazioni a sette anni come previste dal piano di salvataggio di Alitalia, non si tratta di esuberi ma di riorganizzazione ed efficientamento. Una compagnia nata due anni fa senza un euro di debiti, regalata ai “patrioti” come li definì il nostro premier Berlusconi e con grossi sgravi fiscali, che ora vuole mettere in cassa integrazione un migliaio di dipendenti è un fatto normale? Sono parole sue: c’e’ ”la possibilità di usare la cig per sette anni”. ”Se non fosse che si tratta di Alitalia – ha concluso Sabelli , tutto questo non avrebbe una grossa eco perché si tratta di ordinaria amministrazione”. Forse Sabelli dimentica che i 7 anni di cigs sono stati dati agli ex dipendenti Alitalia con un decreto legge fatto ad hoc perché riguardava più di 6.000 dipendenti di cui più della metà senza requisiti pensionistici e quindi essendo un fatto eccezionale (la prima volta in Italia) era il minimo che si poteva fare. Ora dopo aver sbandierato ai quattro venti che la nuova Alitalia va bene e presto raggiungerà il pareggio, ripropongono la cassa integrazione e insistono nel dire che non ci sono esuberi. E allora a che gioco giochiamo? Perché non dire che c’è la crisi e dichiararla? Io ho sempre saputo che per utilizzare la cassa integrazione c’è bisogno di dimostrare che l’azienda versa in gravi difficoltà e di presentare un piano di risanamento ma per CAI non è così? È troppo facile far pagare ai dipendenti e ai contribuenti la crisi tagliando posti di lavoro e facendo pagare il conto allo stato. Sono stanca di sentirmi presa in giro e vorrei più trasparenza perché l’operazione di salvataggio Alitalia si sta rivelando un grande Flop”.