Angelo Amadio è morto a Roma, salutato  ai funerali, che si sono svolti il 3 gennaio scorso, da una folta rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri. Quella mattina l’avevano mandato in bicicletta a comprare dell’uva al castello di Torrimpietra. amadio_piccola_ok.jpgLungo in tragitto una donna lo metteva in guardia del pericolo. “Lo avvertii che al castello c’erano i tedeschi che stavano facendo una retata, in vista di una rappresaglia per quello che era avvenuto il giorno prima alla torre di Palidoro”, racconta Wilma Pitton, che attualmente abita a Fregene. Alla torre era successo che due militari germanici erano morti mentre andavano a curiosare in una cassetta di munizioni lasciata incustodita dai finanzieri che vi erano di stanza. Un marchingegno antifurto fatto alla buona da uno di loro, invece di limitarsi a fare un botto, aveva innescato un’esplosione tremenda facendo saltare tutto l’armamentario. Per i tedeschi un trabocchetto. Come arrivò al castello, Angelo Amadio fu bloccato e fatto salire sul camion in partenza con gli altri ostaggi: quasi tutti operai che stavano costruendo una casa alle dipendenze di Michele Vuerich, un  impresario del posto. L’unico a mangiare la foglia e a svignarsela per tempo era  stato il pizzicagnolo, Alfredo Bravi, che si era buttato giù dalle mura, sapendo che sarebbe andato a cadere sopra una catasta di fascine. Lo scopino, deposta la ramazza, aveva cercato di imitarlo puntando verso il bosco. Ma era claudicante e fu colpito da una raffica prima di raggiungere la meta. Verso mezzogiorno il camion era sul luogo scelto per l’esecuzione: lo stesso dov’era avvenuta l’esplosione. La giornata era limpida ma disturbata dal vento. Dentro la fossa che stavano scavando davanti ai mitra spianati c’era chi pregava, chi sospirava, chi imprecava, chi era muto per la paura.

Alle diciassette, la liberazione: tutti fuori dalla buca, meno il giovane vicebrigadiere napoletano che, autoaccusandosi, aveva deciso di salvare la vita  dei compagni rinunciando alla propria. Sul momento anche Amadio fu trattenuto: mentre si lavorava di pala e badile lo avevano visto scambiare qualche parola con Salvo e si erano insospettiti. E’ che Salvo D’Acquisto  lui lo conosceva da prima. Lo aveva anche preso in giro, incrociandolo per la strada della borgata sull’Aurelia: “Brigadiere, bisogna che ti impari meglio ad andare in bicicletta”. Ci si era trovato qualche volta insieme anche nelle veglie che si tenevano ora qua ora là nei casali della zona al lume dell’acetilene: più  per capire quello che stava succedendo dopo l’8 settembre che per improvvisare quattro salti in famiglia, dato che lui, Angelo Amadio, sapeva suonare la fisarmonica. Allora c’erano poche case a Torrimpietra e gli abitanti, per scampare ai bombardamenti che prendevano di mira la ferrovia, avevano ripiegato  verso l’interno. La colpa per quegli interminabili minuti di sosta supplementare, nelle vicinanze della fossa, dopo che gli altri ostaggi se n’erano andati via alla svelta, Angelo Amadio la dava al suo berretto da ferroviere. A causa del quale, i tedeschi potevano averlo scambiato per un carabiniere. “Per fortuna – raccontava – avevo un lasciapassare come elettricista delle Ferrovie e mentre lo stavo mostrando, il silenzio fu rotto da una raffica. Mi voltai e vidi Salvo che cadeva nella fossa. E subito dopo il corpo che veniva ricoperto con della sabbia trascinata con i  piedi”. La vita avrebbe riservato ad Angelo Amadio altre emozioni: ha avuto due mogli e tre figlie. “Era di una bellezza straordinaria – raccontano le coetanee di allora – ed era molto corteggiato”. Ma quell’episodio ha lasciato un segno nella sua esistenza: è diventato il punto focale delle sue riflessioni, lo spartiacque nell’arco della vita. “Da allora sono diventato più impulsivo e più insofferente – ammetteva – specie davanti alle ingiustizie. Forse se di anni ne avessi avuto di più il trauma sarebbe stato minore”.

di Alberto Branchini