Vincenzina Sparviero è la figlia di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza bellissima, ma, si dice in paese, troppo fragile e cagionevole di salute per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità a don Ottavio Licata di quarant’anni più vecchio – unghie gialle e labbra molli, di quelle che ti lasciano una scia vischiosa quando ti baciano non sembra importare, e così il matrimonio d’interesse fra la “palombella” obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, Vincenzina incontra l’amore vero, quello che nasce col primo sguardo, negli occhi ambrati del bellissimo Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal suo destino segnato che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare un’interminabile rosa (la stessa, sgargiantissima, che la cugina Giocanda sogna per lei nel bouquet per un abito da sposa tutto vermiglio, “sbampante”) e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore impossibile. La storia di Vincenzina sarebbe stata dimenticata se Tea Ranno, mellinese trapiantata da anni a Roma, non ne avesse fatto un romanzo bruciante e febbrile, raccontato con il suo stile inconfondibile che già ci aveva catturati in “Cenere” (uno dei romanzi più belli che io abbia mai letto edito da e/o), opulento, rotondo, maestoso, ricco di contrasti, paragonabile per certi versi a quello di Dacia Maraini. Al termine della presentazione potremo rimanere insieme attorno al buffet autogestito: se volete potete contribuire con pizzette, tramezzini, bevande o altro a vostro piacimento.