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In particolare grazie alla testimonianza di Gabriele Botolami, che lì ha vissuto sin dall’infanzia: “Quella è sempre stata una proprietà privata, così almeno la ricordo sin dai tempi in cui noi ragazzi facevamo motocross nella zona detta della “montagnola”, dove ora c’è il depuratore. E anche allora, come negli anni dopo, c’è sempre stato il cartello di proprietà privata così come, a periodi, una sbarra o una catena a chiusura della strada. In realtà vigeva allora, come a tutt’oggi, un tacito accordo per chi transitava a piedi o in bicicletta. Probabilmente l’ultima catena e i divieti sono stati ricollocati per evitare danneggiamenti alle nuove coltivazioni dato che, dopo anni di gestione diretta della Maccarese, da qualche tempo i campi sono stati affittati a terzi, se non sbaglio alla Bio Fucino”. Gabriele aggiunge come il vero problema siano sempre state le intrusioni delle auto, che in particolare negli ultimi anni avevano reso l’area una terra di nessuno, soprattutto di notte. Da questo punto di vista, quindi, se la decisione di chiudere il transito alle auto con una catena appare più che giustificato, ciò che non torna è l’incapacità, tipicamente italiana, di riuscire a fare chiarezza tra i diritti di una proprietà privata, per la cui violazione si può incorrere in sanzioni penali come ricordano i cartelli e ha confermato la stessa Municipale, e le molte e sacrosante ragioni di tutti coloro che vorrebbero usufruire di un passaggio non solo splendido da un punto di vista storico-ambientale ma utilissimo per la sicurezza dei ciclisti da e per Maccarese. Fermo restando il divieto assoluto al transito delle auto, presupposto essenziale per la tutela e la sicurezza dell’area, servirebbe a questo punto uno sforzo congiunto, in particolare tra amministrazione comunale e Maccarese Spa, per trovare un ragionevole accordo che garantisca un transito a piedi o in bicicletta senza che si debba correre il rischio di una denuncia per violazione di domicilio. In altre parole, perché accontentarsi di un compromesso al ribasso che lascia tutto nell’ambiguità, contando sul fatto che ad oggi non risulta mai essere stata contestata a qualcuno la suddetta violazione, e non ragionare in una prospettiva di più ampio respiro e che punti alla valorizzazione delle bellezze del territorio garantendo allo stesso tempo e in modo inequivocabile diritti e doveri per tutti? Sarebbe bello immaginare di trovare un cartello di pista ciclabile, come quello esposto all’altezza dello stabilimento Riviera, che in quel punto invece suona tanto da presa per i fondelli, collocato all’ingresso della proprietà sia sul lato di via Setri Levante che su quello di via Tirrenia. Con un po’ di buona volontà, un sogno possibile anche a queste latitudini così lontane dai paesi del nord Europa dove l’uso della bicicletta è sinonimo di civiltà (Francesco Zucchi).