Parlando di Fregene spesso si va con la mente al passato ricordando tempi più felici. Su una rivista “Capitolium” del comune di Roma del 1966 troviamo un interessante articolo di Lilia Berruti dal titolo “Fregene: una moderna spiaggia all’antica, zone di tranquillità e di riposo da difendere intorno a Roma”.
Minuscoli villini sepolti nel bosco di pini e querce furono le prime costruzioni della pineta di Fregene. Case giocattolo, ricche di fregi e finestre, di angoli, scale e scalette, che l’inverno copre di muschio e umidità. Sembrano gli elementi di un gioco di costruzioni per bambini.

Hanno ancora i nomi un po’ romantici di “Villino delle Querce”, “Villa Rosa”,  “L’Usignolo” che dettero loro i proprietari; una generazione anteguerra, allevata tra il primo novecento di D’Annunzio e il clima politico di allora. I pionieri di Fregene accettavano volentieri la pineta senza luce elettrica (e spesso la notte andava via anche dalle abitazioni) e il dover andare a Maccarese per gli acquisti più importanti. In compenso avevano un’assoluta tranquillità e un immenso bosco a completa disposizione, anche la domenica (cosa che non accade più oggi). La pineta altissima e solitaria era piena di brusii e canti d’uccelli. Vicino al mare sempre in lotta col vento essa finiva contorta tra pinastri selvatici dai tronchi piegati fino a terra, macchie di lentisco e ciuffi di gigli marini. Le strade si chiamavano viale delle Conifere, via dell’Auro, delle Azalee, tutti nomi di fiori e piante, poi cambiati con nomi di località di villeggiatura marine. 

Oggi accanto alle scure villette di una volta è un susseguirsi di ville moderne e luminose, con piscina e campo da tennis. Sui prati inappuntabili all’inglese, i proprietari si godono l’ora più bella di Fregene: la sera che scende sui pini piumosi immobili, dai tronchi secolari ricoperti di vite americana e gelsomino. Il sole illumina di un rosso acceso i loro rami, nella luce del crepuscolo che muore in mare sempre agitato. Com’è nata la Fregene di questi beati villeggianti? Nel 1920 era ancora un intatto prato sotto i pini, di 400 ettari circa, che arrivava fino al mare. In quell’anno (20 agosto 1920) il governo italiano con regio decreto dichiarò la pineta monumento nazionale. Nel 1922 La Conchiglia, oggi moderno albergo, era solo un padiglione di caccia in legno ed era la prima e l’unica costruzione di Fregene. Nel 1926 fu ingrandita e durante i lavori fu trovato su una colonnina, un verso che Gabriele D’Annunzio aveva scritto nelle frequenti gite a Fregene: “Tu mi nascesti bella in riva al mare etrusco”. Purtroppo la colonnina durante i successivi lavori andò distrutta. Il locale, con annesso ristorante, piccola dispensa e spaccio di sale e tabacchi, aveva fin da allora un tono mondano, se è vero che era frequentato qualche volta anche dal principe Umberto. I frequentatori abituali erano però gli operai che abitavano al cantiere, località al di fuori della pineta e che lavoravano alla costruzione delle prime ville. Infatti nel 1920 si era costituita la “società marina e pineta di Fregene, che acquistato il terreno dai principi Rospigliosi, proprietari di Maccarese, si proponeva un intensa opera di valorizzazione attraverso la vendita del terreno lottizzato e la costruzione di villini. Il primo costruito fu “Villa Rosa”, adibito ad infermeria per gli operai che lavoravano nella zona, e in seguito ad abitazione degli impiegati della società. La società aveva iniziato molte attività con grande slancio e molte altre se ne proponeva ma non fece in tempo a realizzarle perché fallì dopo pochi anni, nel 1931. Nonostante il fallimento, le piccole comunità di operai venuti dall’Italia settentrionale fervevano ancora di lavoro e di iniziativa. Chi ha creato Fregene, cosi com’è ora, sono stati anche i primi abitanti: veneti, romagnoli industriosi e testardi, venuti dai loro paesi della bassa e del Trentino. Muratori, falegnami, meccanici, tutti lavoravano sfidando la malaria, non vinta ancora, abitando estate e inverno in baracche vicino alla pineta. Con l’andare del tempo chi si costruì la casa, chi mise un banco da frutta, chi esercitò il mestiere improprio. Oggi tutti hanno il negozio di proprietà, la boutique alla moda, il bar elegante o lo stabilimento balneare. Sono i veri abitanti di Fregene, quelli che non se ne vanno via con le prime piogge che trasformano le stradine sabbiose in pantani. Seguitano ad andare in bicicletta sotto i pini come pedalavano nelle pianure della bassa padana. Presto incominciò a conoscere Fregene il bel mondo romano, la vicinanza a Roma e la mancanza di mezzi di trasporto pubblici diretti la rendevano accessibile solo con automobili. Allora non molti avevano l’auto privata, perciò il pubblico di Fregene si mantenne a lungo selezionatissimo. Su viale Porto Venere (allora viale delle Conifere) erano sorte le tribune per le corse ippiche che avevano luogo nel prospiciente grande prato. Si cominciavano a costruire le prime ville importanti: quella del tenore Tito Schipa (che aveva un piccolo teatro per audizioni private) e quelle del principe borghese. Ambedue vicine, furono in seguito trasformate e adibite ad albergo: la “Villa dei Pini”.

C’era un unico stabilimento balneare, quello che oggi è “Il Lido”. Sfoggiava, per la ristretta élite estiva, cabine di legno con pensilina e festoni, traforata di gusto liberty, fatte venire apposta dall’Olanda. Chi passava allora l’estate a Fregene ricorda certo l’ambiente signorile e nello stesso tempo famigliare di quell’epoca, formato soprattutto dai proprietari dei villini. Poi venne la guerra e dopo l’8 settembre del 1943 Fregene e Maccarese furono evacuate per ragioni militari e occupate dai tedeschi. Essi abbaterono qualche pino e le cabine sulla spiaggia per una migliore visibilità sul mare. Sia pure per breve tempo Fregene cadde in completo abbandono: ma ciò era accaduto altre volte nella sua storia.

Nel dopoguerra Fregene cambia volto e tono: quattro dancing, due cinema, ville sempre più di lusso, stabilimenti nuovi a destra e a sinistra del Lido, costumi da bagno sempre più ridotti, dive e registi cinematografici. In quegli anni, forse per contrasto a tante sopravvenute mondanità, un gruppo di signore villeggianti, organizzando balli e canaste di beneficenza, raccolse i fondi per la costruzione della chiesa, già iniziata dalla suddetta società marina e poi abbandonata da anni. La costruzione si trovava molto fuori della pineta in un luogo dove, si diceva, ci fosse stato un tempio dedicato a Diana Fregenate.

Dal 1950 in poi Fregene diviene sempre più di moda e accoglie anche esponenti del jet set internazionale. La maggior parte del mondo artistico romano (intendo per parte quella che va per la maggiore, cioè il cinema) ha qui una villa dove riposarsi ed iniziare nuovi lavori, a riparo dalle noie e dalle fatiche della celebrità. I bagnanti di oggi non pensano certo che secoli fa su questo mare navigavano le navi etrusche e più tardi le triremi romane. Ci sarebbe ancora molto da raccontare, ma per ora fermiamoci, vorrei però aggiungere che Fregene oggi ha ancora molti luoghi belli e da apprezzare, ma andrebbe sicuramente più rispettata, come d’altronde anche altre belle parti della nostra amata Italia. L’essere umano purtroppo a volte compie dei danni incredibili ed irreparabili; sta a tutti noi educare anche le nuove generazioni a rispettare ed amare il posto in cui viviamo. Aggiungo un ultima cosa, che poi è una proposta, perché non mettere la frase dei primi del novecento di D’Annunzio: “Fregene tu mi nascesti bella in riva al mare etrusco”, in bella mostra nell’aiuola prima della pineta monumentale? D’Annunzio, e non solo lui, l’apprezzerebbe.

 Giovanni Zorzi / resp. Ecomuseo del litorale romano Polo di Maccarese