Nella sala d’attesa dell’aeroporto di Manila seduto leggo un libro, aspettando il tempo che passa fino al momento di imbarcarmi per Fiumicino aeroporto. Ci saranno duecento persone che aspettano che aprano l’imbarco sul Boing, due bei motori a turbina sulle ali; una volta accese, l’aereo si avvia saltellando verso la pista di decollo e pian piano arriva in prossimità del lungo rettilineo. Il pilota dà tutta manetta, l’aereo trema schizzando mentre la pressione della velocità ci attacca ai sedili. Per fortuna che con una mezza bottiglietta di vino rosso risolvo la notte, l’ho imparato a mie spese: tredici ore sono lunghe e, dato che anche l’orario ci sta, mi appennico abbassando il cappello sulla fronte per coprire le luci ancora accese. Di un colpo mi sveglio: luci, gente agitata… che cosa succede? Ci metto un po’ per capirlo, sono passate 7 ore e ho dormito di filato. Siamo quasi arrivati, stanno iniziando la discesa, tutti ai propri posti, le orecchie dolgono, soffio nel naso tappandomi le narici per compensare la pressione, come quando ti immergi sott’acqua.

Dal finestrino, giù sotto, si intravedono le campagne, i boschi, i pascoli, campi coltivati e altri arati; paesaggio famigliare. Sfila l’aeroplano sorvolando la costa fino a virare e a imboccare la pista di atterraggio dell’Aeroporto Leonardo da Vinci; appena toccano l’asfalto della pista, le ruote dei carrelli fanno una fumata per poi correre e quindi rallentare con l’aiuto dei motori che tirano indietro frenando la carlinga che vibra per qualche secondo, fino a fermarsi finalmente al gate.

All’uscita mio padre Pietro, sorridente, agita il braccio attirando la mia attenzione; le strade che portano a Fregene sono famigliari: il cocomeraio all’angolo, via Coccia di morto, fiancheggiando l’aeroporto fino ai campi della Maccarese, i casali rossi dei centri agricoli per viale di Porto, fino all’entrata a Fregene con la solita palma al centro dell’ingresso. Poi proseguendo per giungere finalmente davanti al cancelletto di legno di entrata della casetta adorata del Villaggio dei Pescatori al numero 131. Lillo il mio amico a 4 zampe è un po’ arrabbiato con me, fa sempre così quando torno dai viaggi; fa l’offeso voltandosi dall’altra parte quando lo chiamo, durerà al massimo un paio di giorni per poi tornare l’amico di sempre. In questo periodo è stato con i miei a Roma scorrazzato lungo i marciapiedi di via Peveragno fino alla piazzetta Bra, per i suoi bisognini e per sgranchirsi le gambe.

Nell’aria il profumo di salmastro è familiare, unico, corrosivo, odore misto a quello dei ‘pitosfori’ in fiore che fanno da confine alla mia casetta. Anche la pianta grassa sulla colonna verso il mare ha cacciato innumerevoli fiorellini rosa. Anche le lucertole contribuiscono ai saluti facendo capoccella tra i tufi della recinzione.

Mi sento un po’ stanchino, è il primo pomeriggio, disfo lo zaino lasciando che emani ancora quel poco del profumo dell’isola di Boracay. Non ho molto da mangiare nella dispensa, accendo il fuoco seduto sul divanetto di vimini con al mio fianco Lillo, tra una bruschetta e un bicchierino di vino mi addormento al suono dello scricchiolio della legna che arde.

Al mattino l’aria è ancora fresca, marzo è appena iniziato, la passeggiata al mare di rito con Lillo che corre contento verso la riva. I passi lasciano sulla sabbia impronte confuse, uno dietro l’altro verso il bagnasciuga proseguendo verso nord con il vento in faccia, il giaccone mi copre dall’aria ancora fresca. Dovrò riprendere il lavoro nella piscina comunale di Via del Faro a Fiumicino nel pomeriggio, c’è già aria di primavera, la leggera brezza di terra porta il profumo della macchia mediterranea del bosco. Penso che chiamerò presto Natascia, l’ho pensata spesso, la vorrei incontrare nel fine settimana. Lei ancora studia, è all’ultimo anno di Liceo artistico, disegna benissimo, mi ha regalato un suo ritratto dove accarezza dolcemente Baffetto, il cane rasta trovato in Toscana che al momento è in un terreno di amici e ogni tanto lo vado a prendere per portarlo a spasso con noi. Dopo aver mangiato un bel piatto di riso e verdure, mi crogiolo al ‘soletto’ prima di mettere insieme le forze per guidare fino a Fiumicino per riprendere quella che è ancora la mia attività invernale di istruttore di nuoto. I ragazzini sono contenti, anche io, di rivederci. Il primo quarto d’ora lo dedichiamo al riscaldamento, una corsetta sul posto, saltelli, braccia rotanti indietro e avanti, il tutto condito da battute e risate. La vasca è rumorosa, umida, con una puzza di cloro che esala nell’aria; con Massimo Mannocci, un altro istruttore, scambiamo due chiacchiere, mi fa tante domande sul viaggio incuriosito dalla mia ultima esperienza. Lui mi racconta dei suoi allenamenti per il prossimo Triathlon che ha in mente di fare, correndo quasi tutti i giorni per un’ora nella pineta monumentale di Fregene ha creato un viottolo. Gli altri giorni va in bici e quasi tutti i giorni nuota nella piscina di Acilia dove anche altri triatleti si allenano; è una forza il ‘Mannocci’. La mattina fa il maestro elementare nella scuola ‘Marchiafava’ a Maccarese e mi aggiorna sugli eventi divertenti che accadono dietro le cattedre scolastiche. La lezione della sera dalle 19 alle 20 è l’ultima, frequentata dagli adulti con i quali spesso condivido l’allenamento in acqua, guidando il gruppo nelle infinite vasche ripetute almeno un centinaio di volte. Finalmente a casa; puzzo di cloro, lo sento mentre guido verso casa, dove appena dentro saluto Lillo che scodinzolando con il suo spezzone di coda mi fa le feste facendomi anche capire che vorrebbe fare la passeggiata prima di notte. Accendo il fuoco, ho sempre delle pigne secche da parte, poi metto dentro due pezzi più grandi finché la fiamma cresce infuocando i due pezzi di legno di quercia che mi terranno caldo prima di coricarmi in branda.

Nei giorni che scorrono i venti sono calmi e le serate fresche, l’acqua del mare sarà al massimo 12 gradi, ora che mi ero abituato ad uscire in windsurf solo con i pantaloncini sarà un trauma rimettersi la muta longjohn, il corpetto e il k-way. Domani sarà domenica e andrò a prendere Natascia a casa, abita in zona Pisana. Non vedo l’ora di abbracciarla, sentire il suo profumo, ascoltare la sua voce, toccare i suoi lunghi capelli mori sul rossastro.

Sono un po’ emozionato mentre arrivo sotto il palazzo dove abita, lei si affaccia subito con un sorriso splendente, facendomi cenno che sta scendendo. Ci abbracciamo forte, frettolosamente entra in macchina, guido un po’ veloce nell’intento di arrivare prima possibile a casetta mia dove ho lasciato un legno acceso nel camino in modo di ravvivare subito il fuoco. Lungo la strada ci raccontiamo le ultime, la sua scuola, il mio viaggio, quanto ci siamo pensati; finalmente ora siamo qui insieme, si accoccola con la testa sulle mie gambe mentre ancora sto guidando, i suoi capelli sparsi sopra di me, la testa calda profumata, accelero ancora un po’, sono quasi inebriato dal suo profumo e bramo dalla voglia di abbracciarla ed amarla. Parcheggiata la Polo al lato della strada principale, entriamo a casa. Lillo festeggia come al solito aspettandosi la passeggiata rituale, ma noi siamo troppo impazienti e mentre attizzo il fuoco Natascia già mi accarezza la gamba; il fuoco prende ardendo come i nostri corpi, scintillando, scoppiettando, rimaniamo nudi sul divanetto di vimini davanti al camino semiavvolti nella coperta di piume, dove ci amiamo senza sconti mentre il tempo, tiranno, scorre veloce consumandosi nelle ultime fasi della luce diurna. Dopo un caldo tè al muschio di bosco, usciamo a fare la passeggiata che Lillo sta aspettando, il sole sta per sparire dietro l’orizzonte lasciando i suoi colori rossi arancio sempre più tenui fino a scomparire con un tuffo nel mare. Camminiamo fino all’Arrone mano nella mano: in alcuni tratti Natascia rincorre Lillo che saltellando ci precede: sono bellissimi in questa scena. Il fosso Arrone curva verso il mare per sfociare poi lento e continuo; il suo letto appena a nord si increspa incorniciato dalle nervose cannucce sballottolate dal vento. Ci sono le ‘arciole’ gruppetti di piccoli uccelli che prediligono un ambiente acquitrinoso che cercano vermetti mettendo il loro becco sotto la sabbia bagnata. Al ritorno verso sud intravediamo le poche barche dei pescatori che segnalano l’entrata all’interno verso casetta mia. L’accompagno a casa Natascia, siamo stati bene insieme oggi; ce lo diciamo, ci rivedremo presto. Tornando, ripenso alla bella giornata e a quanto mi piace, alla sua gioventù, al suo viso, al suo corpo così integro, al suo viso così dolce, alla sua e alla mia leggerezza.

Nel frattempo le giornate si fanno più tiepide, i fine settimana di vento dovrò ricominciare ad andare al Miraggio club, i Windsurfieri sono impazienti di ricominciare ad andare per mare; ad aprile manca poco e si ricomincia, si riaprono le serrande del circolo nei fine settimana e quando c’è vento. Si ripristina il servizio di segreteria telefonica 6680958 che tiene informati tutti sulle condizioni meteomarine. La mia voce richiama un gran folla di ‘amanti del mare’; il telefono squilla continuamente soprattutto quando si intravedono nuvole che passano veloci, con l’arrivo delle perturbazioni meteo si smuove agitazione tra il popolo dei Surfieri.

Nella foto la tavola Marchetti 295,
il primo modello di serie testato e usato dalla maggior parte dei Windsurfieri locali di Fregene e dintorni (anno 1982)

Al Villaggio dei Pescatori c’è odore di smalto fresco, di pittura; chi dà una mano di bianco a calce ai muretti di confine, chi sale sui tetti per rattoppare le crepe sul nero bitume, l’odore di smalto viene dal mare dove anche loro, i pescatori, dopo aver ben scartavetrato la carena dei ‘gozzi’ danno almeno due mani di vernice per proteggere i legni del fasciame dalle infiltrazioni d’acqua. Si mettono a punto i lenti motori entrobordo cambiando i giranti per il raffreddamento e i vari filtri, tutto sembra rinnovare la gioia che arriva come una ventata con l’inizio della primavera.

Gli amici arrivano da Roma nei giorni ventosi ma soprattutto nei fine settimana; Giggi ha una nuova tavola ‘il gatto’ così soprannominata, gialla, con la quale si diverte come un bimbo tra i frangenti planando lungo la linea delle onde. Nel gruppo di amici c’è Marcellone che arriva sempre con almeno una novità da provare. Tavole e vele di nuova generazione si sfilano dalle fiammanti sacche srotolandosi al vento, il rumore che provocano sbatacchiate dalle folate di vento è musica. Il Villaggio è ancora tranquillo nelle giornate di scirocco, quando la sabbia vola sopra ogni cosa, il mare scorre veloce verso nord; ci sono onde di un metro oggi sulle quali provare a saltare.

Verso sud si intravedono altre vele che escono dalle parti del Glauco, dove c’è un piccolo gruppetto di windsurfieri che si divertono, i D’Alessandro family e co. fanno da traino. Mentre al Miraggio Club già si vede uscire un bel gruppetto avanti e indietro, preferisco uscire al mio posto di casa al Villaggio dei Pescatori con i miei amici con i quali condivido le emozioni dei primi salti in controllo, cercando di ammarare nel modo corretto senza perdere troppa velocità. Le tavole che Roberto Marchetti ci costruisce sono provviste di cinghie fermapiedi (straps) dove infilandoci i piedi puoi rimanere attaccato alla tavola una volta spiccato il volo dopo un salto.

È già fine aprile e finalmente finisce la stagione di lavoro invernale in piscina cosi posso dedicarmi interamente al mare. La mattina passeggiando con Lillo sulla riva fino alla nostra amata foce dell’Arrone; Lillo entra in acqua e attraversando il fiume corre verso il canneto alla ricerca di qualche uccello da alzare in volo, lo sento dal fruscio mentre corre tra le canne secche. Guardo la foce se scruto qualche linea di scia che i pesci fanno nuotando sotto il pelo dell’acqua. Ce ne sono alcuni anche belli che arrivano fin davanti allo scalino per poi affondare e scomparire sul fondale.

Nel pomeriggio mi vedrò con Brunella, una ragazza che ho conosciuto in piscina lì a Fiumicino; è allegra e carina, leggera e sempre di buon umore, ha un talento per la pittura, fa dei dipinti emozionanti. Organizziamo un pranzetto con i fratelli Paparella a casa mia; Lino e Mauro sono miei amici da parecchi anni, siamo cresciuti insieme, ci conosciamo fin da bambini. Mauro prende un bel pesce ‘rombo’ dalla cella frigorifera dell’attività del papà Antonio. Lo cuciniamo al forno con le patate, una bontà vera che sprigiona il gusto del mare. A casa mia vengono spesso amici e amiche che si aggregano; con gioia sono i benvenuti, condividere questi momenti a tavola come quelli in mare ha per me un immenso valore. Offrire opportunità come queste a chi vive in una grande città come Roma e arriva qui in un ambito di semplicità, di amicizia, di divertimento gustando quello che la vita qui può offrire con generosità è di immenso piacere per l’anima. Sento che questa è la mia missione; mettere insieme persone che sanno apprezzare e godere uno stile di vita semplice a contatto con la natura facendo sport in mare dove imparare lezioni che solo Lui ‘IL PADRE MARE’ può insegnare.