Sperando di poter contribuire al dibattito aperto sulla scuola, dando voce ai protagonisti della DAD e delle lezioni in presenza ai tempi del Covid, pubblichiamo questa riflessione rimbalzata sui social di una docente di un liceo.

“Credo di aver vissuto oggi uno dei momenti più intensi della mia carriera da docente. Tutto è iniziato questa mattina, quando dopo un’ora di spiegazione in DaD, una delle mie alunne (per dovere di cronaca specifico che è una dall’8 facile, sempre attenta e presente a distanza e a scuola) mi ha detto: “Prof io non ho voglia più di ascoltarla, voglio che sia lei ad ascoltare me. Sono stanca, sto male, voglio una vita normale. Non mi importa dei tira e molla che fa la politica, il problema non è solo la didattica a distanza o in presenza, il problema è che nessuno ci chiede noi come stiamo, tanto noi non abbiamo problemi e facciamo solo capricci… A lei si è accodata tutta la classe…

Li ho ascoltati… E mi sono sentita in colpa perché in questi mesi ho pensato solo a portare avanti il programma e ad avere valutazioni…. Ho chiuso il canale dell’empatia, tutta concentrata sulla ‘bella figura’ da fare con il ministero perché non si dica che in DaD si perde tempo! Ho smesso di essere insegnante e sono diventata una burocrate! E invece il tempo l’ho perso… Non mi sono accorta (non ho voluto farlo) che i miei alunni si stanno spegnendo, che si sentono impauriti dal futuro, e che vorrebbero solo più ascolto dagli adulti.

Ho pianto con loro, ho pianto per loro. Cari alunni vi chiedo scusa per avervi trattato come pratiche da smaltire, vi chiedo scusa se non ho ascoltato i vostri silenzi carichi di angoscia, vi chiedo scusa se non ho capito che dietro a quel compito non consegnato c’era l’apatia delle vostre giornate senza più colori. Cari ragazzi, non dobbiamo farvi spegnere, in fondo siete voi il nostro futuro”.

Da una insegnante di un Liceo Classico