Harry Powell, pastore protestante, uccide alcune vedove per denaro. Uccide anche Willa Harper, ma i suoi due figlioletti gli danno filo da torcere. Riescono a fuggire da lui allontanandosi sul fiume con una barca. In loro soccorso giunge una cara vecchietta, Rachel, che dà rifugio ai bambini abbandonati. Grande fiaba orrorifica, più per atmosfera che per scene violente, resa convincente da una regia secca e originale. Harry come orco, Rachel come fata e i due fratelli come Hansel e Gretel. La fotografia in bianco e nero di Stanley Cortez è una festa per gli occhi. Le inquadrature grazie alle luci maniacalmente posizionate sono una rilettura dell’espressionismo. Stupenda la sequenza in cui il vecchio scopre il cadavere di Willa, interpretata volutamente sopra le righe da Shelley Winters. La donna è legata alla guida dell’auto sul fondo del fiume e i suoi capelli lunghi si confondono con le alghe. Prima e unica regia dell’attore Charles Laughton che, con grande misoginia, mostra quasi tutte le figure femminili come ingenue e stupide. Si salva solo Rachel, interpretata da una grande Lillian Gish. Atto d’accusa contro il fanatismo nella religione cristiana e i falsi profeti, con riferimento al sud degli Stati Uniti. Forse la più grande e sfaccettata interpretazione di Mitchum, che sette anni dopo, ne Il promontorio della paura, si calerà in un personaggio molto simile. Tratto dal romanzo di Davis Grubb e girato in poco più di un mese. Laughton, a causa dell’insuccesso commerciale, non poté realizzare la sua trasposizione de  Il nudo e il morto di Mailer. Oggetto di culto di molti cinefili è citato apertamente da Neil Jordan nel suo In compagnia dei lupi. “La morte sul fiume” è sostanzialmente uno sguardo che si affaccia sul male. Uno sguardo talmente vivido pur nella sua natura “simbolica” che non può fare a meno di impressionare lo spettatore. Ma è anche lo sguardo innocente e indifeso dei bambini, gli stessi che però, come ci viene ripetuto più volte, soprattutto verso il finale, è in grado di sopportare molti più pesi di quello degli adulti. Uno sguardo incontaminato che affacciandosi appunto sul male ne rimane estraneo, ma pur sempre consapevole.