“Se non ha alcun nome glielo diamo noi” dice la dottoressa dell’ospedale, ma lei rifiuta. “Gli strizzacervelli non li voglio. Di pasticche non ne ho bisogno è ora di cambiare sapore”. “Il sapore della vita è tutto uguale, è quello della merda , non farti illusioni” le butta in faccia l’infermiera con il faccione rubicondo che contrasta con la disarmante battuta. Per chi vive giornalmente la solita routine anche la disperazione diventa perfino banale. Ha 48 anni. Non ci sono età che sollevino dal dovere di esistere… Maria (nome fittizio perché nel luogo dove abito la conoscono) si attorciglia la coperta intorno al corpo, sente freddo nonostante nella stanza ci sia un caldo da incubatrice, ma il suo freddo è diverso. È dentro di sé. Accende una sigaretta e la divora afferrandola con le labbra che simulano la suzione di un capezzolo. Una espressione di avidità come fanno i lattanti affamati. Con lo sguardo nel vuoto è seduta sulla lettiga in attesa di una sistemazione al reparto psichiatrico, vorrei raggiungerla ma non mi fanno entrare per via della privacy. So tutto di lei, di quale privacy stiamo parlando? Una donna tenta di togliersi la vita vuole diventare invisibile e la si vieta l’abbraccio indulgente di un’amica? Il perché l’hai fatto è quanto di più stronzo si possa chiedere a chi non ha alcun motivo se non quello di farla finita e tornare nell’ombra da dove è stato fino ad ora. Il male di vivere ammorba ogni istante delle nostre azioni, convince del tutto inutile e scava buche profondissime dalle quali è difficile emergere. Finalmente mi fanno entrare. Le sorrido. Non dico una parola. Le accarezzo i capelli sudati. “Hai visto? non so fare un bel cavolo di niente, neppure ammazzarmi, nulla, non so fare nulla”. Muoiono le sue parole tra le labbra che hanno il colore biancastro delle pasticche, sembra morta eppure non lo è. Gliele bagno con il fazzoletto inumidito, fa cenno di lasciarla in pace, allora mi ritraggo e siedo sulla sedia vicino a lei senza più sfiorarla con un dito. La guardo e non riesco a commuovermi, non riesco a versare una lacrima per quella amica di cui non riconosco i tratti. Chi avrebbe mai potuto sospettare che la donna simpatica dalla risata a garganella, dall’autocritica beffarda potesse nascondere una realtà così oscura, devastante. Lei amante dei vestiti, delle feste, degli incontri sopra le righe di cui poi raccontava tutto con uno spasso indicibile ora sia lì a dichiarare il suo fallimento per non essere stata capace di uscire di scena lasciando con il fiato sospeso gli spettatori. Inutile torturare la mente per cercare spiegazioni, il mistero esiste, è dentro di noi e alzare il velo per scoprire ciò che non è comprensibile è impresa inutile e spesso nociva perché in quel tuffo nel buio nessuna certezza illumina la nostra mente. Maria si muove, fa una smorfia di fastidio e vorrebbe togliersi gli aghi della flebo, poi riapre gli occhi, le sorrido e lei trova la forza di dirmi “Che ci fai qui? Vai a farti gli affari tuoi”. “Non ho affari miei in questo momento ma solo i tuoi affari” le rispondo con una normalità che nasconde perfino una certa irritazione. Quante varietà di sensazioni si provano e spesso celate da sentimenti che non vorremmo riconoscere come nostri tanto sono crudi e insinceri. Ce l’ho con lei. Brutta stronza. È uscita dall’ospedale. Non prende più le pillole e allora mi chiama ripetutamente per essere accompagnata dai medici a cui non crede. Facciamo il giro dei pronto soccorso per tornare ad essere come prima. Si aggrappa a me pensando io possegga la medicina giusta per guarirla. La guarigione da cosa le domando? È sprofondata nell’inferno che è diventata la sua stanza. Le dico che le anime più forti sono quelle provate dalla sofferenza, che ce la farà a… a che fare mi chiedo. Allora la guardo nella sua disperazione e la provo anch’io, penso anch’io di avere bisogno di aiuto per non allontanarmi da questa donna che mi procura tante complicazioni. Mi mette l’ansia addosso, ho paura di diventare come Lei. Non ce la faccio a lasciarla in quella solitudine misteriosa e inquietante. Il coraggio è fare quel che si ha paura di fare. Temo le sue telefonate e nello stesso tempo desidero avere sempre sue notizie.
Che ne sarà di Lei? Che ne sarà di me?