Venerdì 31 gennaio, per la rassegna cinematografica dal titolo “L’altro e l’altrove”, l’associazione culturale “L’Albero” di Maccarese ha programmato la proiezione del film “Un affare di famiglia” film drammatico con Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi, Miyu Sasaki, regia di Kore’eda Hirokazu.

Come di consueto le proiezioni si terranno presso la Casa della Partecipazione a Maccarese (via del Buttero, 3) alle ore 21.00 con ingresso libero.

IL FILM

In un umile appartamento vive una piccola comunità di persone, che sembra unita da legami di parentela. Così non è, nonostante la presenza di una “nonna” e di una coppia, formata dall’operaio edile Osamu e da Nobuyo, dipendente di una lavanderia. Quando Osamu trova per strada una bambina che sembra abbandonata dai genitori, decide di accoglierla in casa.
La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Libero arbitrio parentale: un tema niente affatto nuovo nel cinema di Kore-eda Hirokazu, dallo scambio di figli di Father and Son alla sorellanza estesa di Little Sister.
Ma Un affare di famiglia percorre solo in apparenza binari antichi, nascondendo una differente declinazione della materia, che guarda al sociale come l’autore non faceva dai tempi di Nessuno lo sa. In un’opera brutalmente separata in due atti, che lavora molto sul dialogo con lo spettatore. Il primo segmento sembra esaudire appieno le aspettative di quest’ultimo, introducendolo a un gruppo di ladruncoli che, per interesse prima e per affetto poi, si ritrova a festeggiare un colpo, simulando di avere dei rapporti effettivi di parentela. Tutto sembra procedere nella direzione più attesa, sino alla svolta narrativa che riapre il vaso di Pandora e rimette tutto in discussione. “Buoni”, “cattivi”, giusto e sbagliato, diventano concetti ribaltati sullo spettatore e sui suoi dubbi, con una padronanza della narrazione – già intravista nel “rashomoniano” The Third Murder – che guarda al relativismo di Kurosawa Akira, ancor più che al consueto termine di paragone di Ozu.

Kore-eda è ormai talmente padrone della propria poetica, elaborata attraverso una lunga e pregevole filmografia, da poterne disporre a piacimento, rivoltandola come un guanto per offrire nuovi punti di vista, nuove ricerche di verità.

Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma i toni quasi da commedia della rappresentazione della famiglia fittizia in un dramma colorato di nero, che colpisce come una sferzata, dopo aver aperto il cuore al sentimento. Lo scontro tra legge e natura raggiunge il suo apice nell’epilogo di Un affare di famiglia, dimostrando l’invincibilità della prima – che ostruisce la costruzione di un modello alternativo – ma ribadendo con forza le ragioni della seconda.

IL REGISTA

Regista, produttore, sceneggiatore e montatore giapponese, che si è legato ai temi sociali del suicidio e dell’esistenzialismo con solida rassegnazione e coraggio, lasciando attoniti spettatori e critica che rimangono in preda delle sue domande per tutta la durata della pellicola. Abilissimo nella macchina da presa, la usa in maniera memorabile per ricreare uno stile audio-visivo contemplativo e intimista.

La carriera di documentarista
Hirokazu Koreeda nasce il 6 giugno 1962, a Tokyo. Dopo aver studiato all’Università di Waseda, decide di fare lo scrittore, ma non incontrando il successo sperato, lavora prima come assistente documentarista e poi come documentarista per l’emittente televisiva Man Union, firmando principalmente opere legate al sociale o al cinema come Shikashi (1991), incentrato su un caso di suicidio di un funzionario governativo, Eiga ga jidai o utsusutoki – Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993) sui registi taiwanesi Hou Hsiao-hsien ed Edward Yang e Kare no inai hachigatsu ga (1994), un diario audiovisivo di un malato di AIDS.

Il debutto cinematografico
Il debutto nei film a soggetto, avviene subito dopo queste esperienze con la trasposizione della novella omonima di Teru Miyamoto Maboroshi no hikari (1995), legato al tema del suicidio e che viene definito dalla critica un film “difficile da comprendere” proprio perché trova il suo senso in un tipo di cultura che è diametralmente opposta alla nostra e che è molto più introspettiva.

Il successo di Father and Son
Uno dei suoi film più conosciuti, anche e soprattutto in occidente, è Father and Son (2013) che vince, al Festival di Cannes, il Premio della Giuria e il Premio Ecumenico della Giuria, per aver analizzato con estrema introspezione la complessa figura di un uomo che deve diventare padre. È, senza dubbio, il capolavoro della sua carriera da cineasta. Fra commozione e senso di tenerezza, lo spettatore e il critico cinematografico si trovano di fronte a un dilemma che è semplice ed eppure difficile nella sua semplicità: chi è il vero padre, l’uomo che ti ha messo al mondo o quello che ti aiuta a stare al mondo? Ripercorrendo la storia di un uomo che scopre, dopo anni, che suo figlio è stato scambiato nella culla da un’infermiera, non appena venuto al mondo, attraversiamo tutte le fasi della costruzione di una consapevolezza genitoriale che si nutre di emozioni, turbamenti, insistenze logiche. Accusato di essere troppo lento e stereotipato, il film è comunque applaudito.

Umimachi Diary
Nel 2014, tenta di rinnovare il suo successo con Little Sister, dove un padre che aveva abbandonato la famiglia, muore e le sue figlie vengono a contatto con la nuova famiglia da lui creata e, in particolare, con la loro sorellastra. Due anni dopo porta al Festival di Cannes la potente storia di famiglia e legami di After the Storm. Del 2017 è invece The Third Murder, e del 2018 Shoplifters (Un affare di famiglia), film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes.