Quel fischio di ammirazione la riempì di gioia. Sorrise. Un’emozione improvvisa e inaspettata le fece battere il cuore. Richiuse il portone dietro di sé. Quella mattina non aveva avuto dubbi: aveva fatto la scelta giusta. Un tailleur blu e una camicia di seta, il primo bottone slacciato maliziosamente. Ogni giorno il bisogno di conferme la spingeva a ricercare consensi ovunque. Le bastava uno sguardo compiacente, un borbottio di apprezzamento. Affrontava il lavoro, le relazioni sociali, le amicizie con sicurezza che svaniva non appena pensava di non suscitare l’interesse. Aveva un disperato bisogno di attenzione. Senza approvazione si sentiva improvvisamente svuotata di ogni qualità: né bella, né intelligente, neppure simpatica. Quel fischio aveva riacceso la sicurezza. Qualcuno dunque l’aveva notata. Un rapido sguardo alle finestre del palazzo di fronte. Da quella socchiusa era uscito il fischio. Ne era sicura. Non troppo signorile, a dir la verità, ma efficace. Questo sibilo le infondeva coraggio. Il passo diventava leggero, il corpo sinuoso, sensuale. L’immaginazione crea mostri e creature divine. L’ammiratore sconosciuto aveva occhi scuri, labbra carnose, il sorriso di perla. Nell’attesa che si mostrasse, Cosetta ostentava varie versioni di se stessa. Una passerella giornaliera studiata con attenzione per piacere a colui che ormai era entrato nella mente e nel cuore. La pioggia battente non riusciva a rendere la giornata uggiosa. Cosetta aveva indossato un impermeabile rosso, un colore vivace nonostante il grigio del cielo. Provava turbamento al solo pensiero che da un momento all’altro questa presenza si materializzasse. Aprì il portone. Un sussulto e l’attesa del fischio. Silenzio. Assurdo. Glaciale. Guardò verso la finestra. La vide chiusa. Attese un attimo. Le parve un’eternità. Trattenne il respiro. Un’amarezza simile a quella della fine di un amore la gettò nello sconforto. Un gioco, una beffa dunque? Un’illusione, una povera, stupida illusione. Rimproverando se stessa per aver ceduto a una simile lusinga camminava sotto lo scroscio dell’acqua. Lì a pochi metri, quasi sotto la sua scarpa giaceva con le penne bagnate, il becco giallo aperto, gli occhi vitrei, il povero merlo indiano artefice della sua immensa felicità e della sua drammatica delusione.