Condividiamo un pensiero arrivato in redazione scritto da Claudia C., 16 anni.

Tutto ebbe inizio giovedì 5 marzo dell’anno corrente.
“Tutti a casa, c’è il Corona”.
Lo conoscevamo già questo certo Corona, lo avevamo già sentito, ma sembrava non spaventarci affatto.
Sapevamo di lui che era cattivo, ma anche molto lontano da noi. Questo ci rasserenava, traendoci però in inganno.
Infatti, nel bel mezzo della nostra quotidianità, iniziammo ad avere notizia di un’anziana signora malata. Poi due. Poi un signore e suo fratello. Poveri, nulla avevano fatto per meritarsi tanto. Intere vite passate ad accudire le proprie famiglie, a prendersi cura dei propri raccolti o a dedicarsi al proprio banco al mercato cittadino.
E allora iniziammo a capire che in nostro amico Corona era arrivato, e non faceva sconti a nessuno.
I suoi preferiti erano i nostri anziani zii e i nostri adorati nonni. Non che gli altri non gli interessassero, ma aveva le sue preferenze.
E dunque, in quel giovedì di marzo, un signore giacca e cravatta dal naso aquilino, diede inizio, con le sue parole, ad un nuovo capitolo della nostra storia.
Dovevamo restarcene a casa, per il nostro bene e quello altrui. Tutto cambiò.
Le scuole, che tanto maledicevamo, erano state chiuse.
I negozi, chiusi, da quello di giocatoli a quelli di scarpe.
I ristoranti, nei quali passavamo le nostre domeniche in famiglia, chiusi.
Dai mercati belli e chiassosi di periferia, ai più lussuosi alberghi del centro storico. Dalla sarta di quartiere, alle più grandi catene di abbigliamento. Dal centro sportivo di paese, alle più grandi società sportive. Tutto fermo.
Iniziò così la nostra quarantena.
Ne avevamo ora di tempo libero. Le giornate trascorrevano lente, e bisognava ingannare il tempo.
Per qualche strana ragione però, il nostro Corona, ci stava in parte aiutando. Infatti, come disse un giorno il grande Albert Einstein “La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte scura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”.
Mai parole furono più vere e attuali. E come me, sembrava dare ragione al maestro Einstein, l’intera nazione. Il bello stivale sembrò infatti, spogliarsi dal grigiume e sbocciare come i fiori a primavera.
Albert aggiunse anche che “Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.” E aveva ragione. Nelle nostre giornate comuni infatti, la monotonia data dal traffico cittadino, dagli impegni in ufficio, dagli esami universitari, dalle brutte notizie che giungono incessantemente, ci avevano sopraffatti e avevamo dimenticato il calore del sorriso e il piacere del saluto.
E proprio durante questi giorni di stop forzato, li riscoprimmo.
La figlia dell’avvocato provò il piacere di fare un brunch con il suo papà.
Il fratellino del giornalista, si fece aiutare da quest’ultimo a fare i compiti.
I due giovani innamorati scoprirono il piacere della colazione a letto. Vicini vicini, e senza altri pensieri. Per non parlare delle nonne, che con stupore, scoprirono di poter vedere i loro nipoti attraverso quegli oggetti tecnologici che poco sapevano utilizzare.
Fu bellissimo.
Ora tutti sorridevano. Tutti, o quasi.
Purtroppo per chi il Corona aveva bussato alla porta, non era facile sorridere. E allora tutti gli altri, senza alcuna distinzione si strinsero attorno a loro, augurandosi che #tuttoandassebene.
I vecchi strumenti vennero rispolverati, le voci schiarite, e tutti, dai propri balconi, iniziarono a cantare. Cantarono parole cariche di amore, fratellanza e tanta speranza.
“Ma il cielo è sempre più blu” dissero.
Ora la bella e chiacchierata Italia era unità, e pronta, con il suo mantello verde bianco e rosso, a risorgere.