Non è l’isolato studio di uno scienziato di qualche
sperduta università, ma un rapporto depositato al Senato americano firmato da
650 scienziati di tutto il mondo che contesta la dottrina che tanto ha fatto
guadagnare al premio Nobel Al Gore. Lo
segnala un articolo su svipop.org, sito attento a trattare in modo non
ideologico quanto riguarda ambiente, sviluppo e popolazione: il lungo elenco di
fisici, geologi, meteorologi e professori si ingrossa di giorno in giorno,
trovando nuovi firmatari soprattutto tra chi fino a pochi mesi fa era acceso
sostenitore della crociata contro l’anidride carbonica. E’ il caso di chi
collabora o ha collaborato con l’Ipcc, il panel intergovernativo dell’Onu il cui
ultimo rapporto sul clima è il libro sacro dei catastrofisti di ogni
continente. Nel rapporto depositato al Senato si legge cosa i professori
pensino di queste teorie: il chimico e fisico giapponese (e collaboratore
dell’Ipcc) Itoh Kiminori, ad esempio, dice che “i timori per il riscaldamento
sono il peggior scandalo scientifico della storia… quando la gente capirà la
verità, si sentirà ingannata dalla scienza e dagli scienziati”. Per il chimico
finlandese ed ex membro di Greenpeace Jarl R. Ahlbeck “non ci sono dati reali
che diano modo di preoccuparsi di un futuro riscaldamento globale”, mentre per
il fisico norvegese e consigliere dello Space Centre di Oslo Paal Brekke
“chiunque affermi che il dibattito è finito e che le conclusioni sono chiare ha
un approccio chiaramente non scientifico”. Che a pensarla così non siano in
pochi lo sostiene lo scienziato dell’atmosfera Stanley B. Goldenberg: “E’ una
clamorosa bugia portata avanti sui media che fa sembrare che esista solo un
piccolo gruppo di scienziati che non si accodano alla teoria del global warming
antropogenico”. Hajo Smith, ex membro dell’Ipcc e sostenitore della teoria, era
stato invitato da Gore ad approfondire le sue teorie. L’ha fatto, e dice: “Mi
sono rapidamente e solidamente trovato nel campo degli scettici. I modelli
climatici al massimo possono essere utili per spiegare i cambiamenti dopo che
sono avvenuti”. Così, mentre il fisico Philip Lloyd (coordinatore degli autori
dell’Ipcc) assicura che sta preparando “uno studio sui rapporti dell’Ipcc e dei
Sommari per i politici, per spiegare in che modo i Sommari hanno distorto la
scienza”, il fisico dell’atmosfera ed ex membro del centro di ricerca spaziale
di Pittsburgh James A. Peden spiega che “molti scienziati stanno cercando un
modo per tornare indietro silenziosamente dal promuovere le paure del
riscaldamento senza vedere rovinate le loro carriere”. D’altra parte, dice il
paleontologo argentino Eduardo Tonni, “l’allarmismo sul riscaldamento globale
ha la sua giustificazione nel fatto che è qualcosa che genera fondi”. Così il
vice cancelliere dell’Institute of Science and Technology dell’Università di
Chubu in Giappone, Takeda Kunihiko: “Le emissioni d CO2 non fanno assolutamente
differenza in un modo o nell’altro. Qualsiasi scienziato lo sa, ma dirlo non
paga”. Anche il premio Nobel per la Fisica Ivar Giaever è scettico: “Il riscaldamento
globale è diventato una nuova religione”, dice. “Per quanti anni il pianeta
dovrà raffreddarsi prima che si cominci a capire che non si sta scaldando?” si
chiede il geologo dell’Università di Uppsala David Gee. A questa domanda però i
catastrofisti più attenti già hanno cominciato a rispondere, con un trucco
vecchio ma efficace: il cambio del nome della teoria. Di fronte alla difficoltà
di spiegare, ad esempio, le nevicate in Sudafrica di questi giorni (ma senza
avere la spudoratezza degli studiosi di Birmingham che qualche giorno fa hanno
detto che i gas serra provocheranno un’era glaciale a causa del riscaldamento
globale) si è cominciato a non parlare più di “global warming”. Lo spiega
Richard Keen, climatologo dell’Università del Colorado: “La Terra si sta raffreddando
dal 1998 malgrado le previsioni dell’Ipcc. La temperatura globale per il 2007 è
stata la più fredda del decennio e la più fredda del millennio. Questo spiega
perché il ‘riscaldamento globale’ adesso si chiama ‘cambiamento climatico’”. Piero
Vietti, Il Foglio, 6 gennaio 2009.