Fregene, dopo il vincolo amministrativo con Fiumicino, e per la vicinanza con Ostia moderna e antica, ha cessato di essere città dei giorni festivi e delle vacanze. C’è un’identità tutta da scoprire e illustrare. La natura non basta più, il manufatto architettonico è solo una parte di quel che costituisce la città dell’uomo. La cultura e la scienza vogliono la loro parte. Fregene-Fiumicino ha di recente rintracciato il passaggio di un grande scienziato, Giovanni Battista Grassi (1854-1925), scopritore delle “speciali zanzare” che trasmettevano la malaria umana, attraverso il proprio territorio. È stato un momento di commovente intensità nella vita dell’aggregato cittadino, che in tal modo è diventato “città della scienza”. Ma ecco delinearsi un altro momento, che potrebbe dissolversi, se non ne segnalassimo l’esistenza. All’inizio di Fregene, sulla sinistra per chi viene da Maccarese, dal viale della Pineta si spicca via Portovenere. Chi a suo tempo abbia scelto il nome del centro in provincia di La Spezia per la piccola e deliziosa arteria che si delineava in un nuovo aggregato cittadino, non lo sappiamo e forse non lo sapremo. C’era un presagio nel nome? Perché il nome di Portovenere compare la prima volta nelle lettere di San Gregorio papa, nel sesto secolo dell’età cristiana. Nulla da spartire, dunque, con la divinità pagana, e invece un saldo collegamento con la storia del Cristianesimo, al quale l’odierna via di Fregene ha conferito un’evidenza da conoscere e consegnare alla cultura: nell’accennata prospettiva di un aggregato cittadino che si frammenta per recuperare i propri valori. Via Portovenere aveva legato il proprio nome agli studi storici e teologici sul Cristianesimo, e di recente ha ribadito questo suo destino. Due nomi: quelli di Aldo Ferrabino e di Graziano Motta, entrambi interpreti di San Paolo, un testimone dello spirito al quale dobbiamo la nostra consapevolezza del mondo e della vita. Ferrabino è stato una delle maggiori personalità culturali del secolo scorso. Cattedratico di storia romana a Padova e poi a Roma, parlamentare e presidente dell’Enciclopedia Italiana, scrisse il suo “Cristo”, 1967, nello spazio prima citato. Lo andavo a trovare per sottoporre alla sua firma documenti del glorioso Istituto che mi aveva chiamato a dirigere, e che si preparava a pubblicare l’Enciclopedia del Novecento come lessico dei massimi problemi. Dalla strada riuscivo a scorgerlo mentre, seduto al suo tavolo, leggeva o annotava le sue riflessioni, che nel corso degli anni Sessanta avevano individuato nelle lettere dell’apostolo Paolo il punto fermo al quale ricondurre la storia del mondo antico e una storicità ormai perenne, con il rapporto tra persona umana e Dio. Ma poi è venuto il bimillenario paolino – l’apostolo Paolo era nato a Tarso, tra l’8 e il 10 d.C. – e il grande teologo che parla dalla cattedra di Pietro, Bendetto XVI -, ha intuito il profondo, coinvolgente significato della ricorrenza. Si è mossa tutta la Chiesa cattolica. Si è provveduto a un restauro radicale della Basilica di San Paolo a Roma, per merito prevalente del cardinale, e architetto, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, le epistole paoline sono tornate a occupare il centro della riflessione teologica. Si è mosso tutto un mondo, come mostra uno splendido volume, scritto, e torniamo a Fregene, in via Portovenere, da Graziano Motta, giornalista di chiara fama, capo ufficio stampa dell’anno paolino e capace di superare ardue difficoltà. A breve distanza dalla casa di Ferrabino, è nato un volume di sintesi su “L’anno paolino”, (Libreria Editrice Vaticana, 2010), di grande pregio.  Non dovrebbe Fregene prendere atto dell’alta cultura che ospita, dando giusta evidenza a Motta e al suo contributo alla cultura odierna, italiana ed europea? È una domanda che ho posto a me stesso, e ne è nato il presente articolo. Ma si potrebbe e si dovrebbe fare meglio e di più. (Prof. Vincenzo Cappelletti).